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Vicky Cristina Barcelona

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Vicky Cristina Barcelona

di Enrique
6 stelle

Con Vicky Cristina Barcelona un Allen un po’ più trasgressivo del solito approda in terra di Spagna e ivi sparge un po’ di quella sua esile esuberanza “sentimentale” (diciamo pure sessuale) che costituisce la cifra distintiva di buona parte della sua cinematografia.

A tal fine si affida, in particolar modo, a quattro protagonisti. Due impongono prepotentemente la loro presenza. Gli altri, comunque, si fanno sentire (a parole e/o nei fatti).
Anzitutto, il narratore. Una presenza invisibile (eppure un po’ ingombrante) e onnisciente che, con la sua voce suadente ed obiettiva (quella del caro Sandro Acerbo alias, per tutti, Brad Pitt), passa, ai raggi X, vita e stato emotivo dei diversi protagonisti. E dove non arrivano le sue parole (davvero difficile), ci pensano le immagini a parlare da sole. A descrivere meglio di ogni altra cosa quella giostra dei sentimenti (FilmTV) che vortica dall’inizio, alla fine, travolgendo ogni cosa; o quasi.

Poi c’è lui: Juan Antonio (Javier Bardem), lo spirito libero; l’artista bello e “maledetto” (o, più prosaicamente, il “sottaniere”: barabbovich). Così sicuro di sé e dell’innocenza della sua disinibita naturalezza che ha il coraggio di rivolgere proposte indecenti, su due piedi, alle prime turiste a portata di sguardo; ma, soprattutto, ha il coraggio di non tirarsi indietro. Mai. Un “vero uomo”, che perdona la ex che tenta ripetutamente di ucciderlo; che sa intrattenere amabilmente le sue “prede”; che sprigiona Passione da tutti i pori; da ogni melliflua parola; da ogni sguardo.
Ergo è “lei” la protagonista più eccitante. La Passione. Un gioco da improvvisare ogniqualvolta se ne presenti l’occasione, perché la vita è troppo breve per cedere alla noia del monotono tran tran quotidiano o alla frustrazione del rimpianto. La vita richiede il “coraggio” dell’imprudenza (e dell’impudenza). E al diavolo perbenismo e pruderie di bassa lega!
Da ultimo non sembra ma un ruolo cruciale lo interpreta anche (e soprattutto) il denaro. Mai, dico mai inquadrato. Mai neanche menzionato, eppure è ciò muove il mondo e, in special modo, i film di Allen. Questo, poi, più di tutti. La vita è sempre splendida e spensierata finchè ci si possono permettere tutti i lussi possibili, perché la propria famiglia ha i contatti giusti, perché il proprio fidanzatino tirato a lucido è ben inserito negli ambienti che contano ed ammanicato quanto basta ecc. Certo, nel dare rilievo a questo aspetto, non sia mai che ci si lasci condizionare dall’invidia o da una mentalità gretta e materialista (no no no). Come dire: i soliti “dettagli”. Che, però, fanno comodo. Che, però, fanno la differenza.

 

Ad ogni modo, quello di Vicky Cristina Barcelona è il film di un Allen – direi - quasi inedito. Troppo romantico per non destare qualche sospetto. “Affetto” da un romanticismo che ruba la scena alle sue leggendarie fobie ed al suo cinismo iconoclasta. È un romanticismo, pur sempre, molto volubile, ma raccontato con un distacco più rassegnato che ironico (OGM).

Un pragmatismo amarognolo affiora nel finale, ma, nel frattempo, l’Amore ha già avuto modo di fare i suoi danni…

Nella ferma consapevolezza, però, che, se non bastavano i 15 minuti del corto di Cristina (una bellissima S.Johansson) per descrivere l’Amore e le sue conseguenze, lo stesso vale per i 96’ minuti del film di Allen.

D’altronde, probabilmente, non basterebbe una vita intera (Tato88).

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