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Quel treno per Yuma

Regia di James Mangold vedi scheda film

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La recensione su Quel treno per Yuma

di scapigliato
6 stelle

Oggi è difficile fare western. Il perché sta tutto nell'idea di cinema che abbiamo oggi e in quell'assurdità che vuole che il cinema debba essere "ai tempi". Oggi, si dice, un western classico o spaghetti non troverebbe pubblico. E si dice, invece, che un western da muscle-movie sia l'unica e possibile via action per fare western oggi. Ci sono stati registi come Clint Eastwood e Kevin Costner che hanno dimostrato il contrario. Eppure si persevera nell'ammiccamento al grosso pubblico e al box office. Il rifacimento di James Mangold del mitico film di Delmer Daves risponde più ad esigenze hollywoodiane che ad una vera e propria interrogazione artistica, formale e contenutistica sul genere. Il racconto morale di Daves non c'è. Sparisce sia di fronte alla messa in scena anti-mitica, sia di fronte alla creazione e allo sviluppo dei due termini in gioco: Dan Evans e Ben Wade. In Daves c'erano veri e propri figuri di pietra, monoliti mitici, archetipi di un umanismo antiretorico e antimoralistico, bensì etico. In Mangold invece, troppo forzato nel suo "disfare" il genere con pratiche impure come gli effetti speciali e la troppa azione casinara, i due personaggi principali sembrano autopsicanalizzarsi incoerenti con il loro intorno. E se Christian Bale è davvero gigantesco nel dare volto, anima, corpo e "gamba" a Dan Evans, il tanto sopravvalutato Russell Crowe è pesante e di un fuori luogo che ai tempi di "Pronti a Morire" era solo accennato ma tollerabile. Non è più il "Cort" di una volta. Il regista impedisce al mito di fare il film, e lo condiziona senza nemmeno un commento autoriale. Vediamo infatti scene d'azione esagerate. Nel Western l'azione si traduce solo in sparatorie e galoppate. Tutto il resto sono duelli, esterni mozzafiato, battute e dialoghi lapidari, silohuette mitiche che si muovono per nostro piacere in un luogo astorico e metastorico per definizione. Invece in "Quel Treno Per Yuma 2007", non c'è tutto questo. C'è però qualcosa d'altro che ne fa un bel film. Dapprima gli attori: Christian Bale, Peter Fonda e Logan Lerman. Se del primo ho già detto essere un perfetto Dan Evans attualizzato, per i secondi due il discorso si fa complementare. Bravura a parte, Peter Fonda è di una bellezza mozzafiato e il giovane Logan Lerman di una adolescenza palpabile, allo sparire del vecchio subentra in scena il giovane. Si vedono e s'incontrano pure prima, ma sono ruoli funzionali alla storia solo nel momento in cui uno nega l'altro. Morendo il vecchio Fonda arriva il giovane Lerman. Il vecchio West, ovvero un rude e spigoloso cacciatore di taglie in servizio oggi per i tipi della Pinkerton, lascia il posto al nuovo West, ovvero un incerto, tremante e arrabbiato adolescente in piena tempesta ormonale. Non so se tutto questo è stato voluto dal regista, ma l'ho letto con la chiara idea di rifondare il Western partendo dal presupposto che il vecchio l'hanno ucciso, e noi oggi possiamo solo fare da noi, magari sbagliando per colpa della nostra istintualità infantile. Perché a conti fatti il film di Mangold non è un bellissimo Western, ma è un gran bel film. Più un dramma civile, su contadini e banditi. Più un leggero abbozzo di Doppio, su legalità e illegalità. Ma nulla di che. Certe idee, visive e narrative, sono carine, ma vengono appiccicate su di un film che ha palesato la sua appartenenza al Western canonico, quello moralista, classico nella sua accezione negativa. Invece di ricreare il tempo e lo spazio, gli americani tendono ancora oggi a fare un Western registrando e riproducento con perfetta aderenza la realtà storica dell'epopea passata: costumi, look e ambienti sono tutti riproposti dalle fotografie del tempo, a parte qualche bizzaria ormai connaturata al genere. La lezione italiana vediamo che più di tanto non è servita se non in qualche fiotto di sangue (mutuato anche da Peckinpah) e in qualche arma non convenzionale di eredità paroliniana. Eppure il film si vede e piace. Certo, paragonato all'archetipo con Glenn Ford e Van Heflin perde 10 a 1. Va detto inoltre che questa riproposta post-cinquantennale, cambia molto rispetto all'originale. Innanzitutto l'aumento di personaggi, non necessariamente negativo, perché il personaggio di Fonda e del giovane Lerman sono i migliori nel film insieme a quello di Bale. Forse si sarebbero dovuti concentrare davvero sul "terzo incomodo", ovvero il figlio adolescente di Bale/Evans, invece è un subplot che lascia l'amaro in bocca per l'indefinizione palese. Il film inoltre lascia a Russell Crowe un personaggio in fondo in fondo buonista. Un personaggio che non è cattivo. Glenn Ford era un cattivo con il cuore, ma il cuore non si vedeva. Russell Crowe invece è un cattivo con il cuore, ma il cuore gli si vede eccome! É questa la grande sconfitta interiore del film, oltre a quella esteriore di una non pacificata scelta di stile e registro. Glenn Ford bissava ogni scarto, ogni fuga di buonismo del suo personaggio, rendendolo mitico, per poi sul finale liberarlo in un'apoteosi umanista che oggi è storica. Il Ben Wade di Russell Crowe invece si smaschera subito, e nonostante le violenze in cui inciampa, causa una sceneggiatura indecisa su che tono dare al personaggio, al treno delle 3 e 10 per Yuma non c'è nessuna agnizione. Il finale rattoppato è lungo ed inutile. Belle le sparatorie, ma didascalica la motivazine e l'impianto tutto. Io, o avrei rifatto passo a passo il finale di Delmer Daves, o avrei fatto sì morire Dan Evans, anche se questa è stata un'irrimediabile agiografia moralista, ma avrei fatto scappare Ben Wade, che in pieno deserto avrebbe sfidato e ucciso i suoi compagni. Certo, anche in questo caso resta immutata l'idea di beatificazione di Dan Evans che non c'è in Delmer Daves. Un rischio forse da correre pur di fare vero Western, cosa che "Quel Treno Per Yuma 2007" non è pienamente.

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