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Piano, solo

Regia di Riccardo Milani vedi scheda film

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La recensione su Piano, solo

di LorCio
6 stelle

Luca Flores è stato un pianista geniale, tormentatissimo, solo nella sua ostinata disperazione. Una figura molto affascinante, alla quale Walter Veltroni ha dedicato un libro, Il disco del mondo, come l’opera di Bach. Una vita travagliata, un’infanzia vissuta in Africa, la tragica morte della madre, il difficile rapporto col padre. E poi la scoperta del proprio talento musicale, l’amicizia con due giovani jazzisti, l’innamoramento nei confronti della lucente Cinzia. Ma Luca non è una personalità facile da capire: è sfuggente, chiuso emotivamente, afflitto da un senso di colpa che non li da pace (si sente responsabile della morte dell’amatissima madre e ne sente terribilmente la mancanza). L’epilogo tragico decreta la fine terrena del musicista che cercava sempre di andare lontano e volare sulle ali della musica, della quale rimane imprigionato. Piano, solo ha un titolo efficacissimo che restituisce tutta la condizione d’essere di Luca, questo sua solitudine che lo accompagna e il pianoforte come unico, vero, fedele compagno di vita. Non si può certo giudicare riuscito il film che Riccardo Milani ha diretto con timidezza.

 

È sicuramente il suo opus più ambizioso e irrisolto, quello che avrebbe potuto sancire il suo definitivo lancio dopo due film abbastanza dignitosi come La guerra degli Antò e Il posto dell’anima. Rimane un’opera squilibrata, con una prima parte scontata e televisiva. Sembra spiccare il volo solo nella seconda parte, quando l’indagine sull’interiorità del protagonista si fa più interessante e mirabile, con i suoi dilemmi, i suoi fantasmi di un passato non dimenticato, le sue lucide follie. Perché è, tutto sommato, l’analisi della vita di un grande talento che non ha saputo reagire con forza all’ingombrante potenza del suo destino, alle circostante spiacevoli della vita. Se Piano, solo è un film appena discreto, almeno qualche responsabilità va imputata alla sceneggiatura di Ivan Cotroneo, Sandro Petraglia, Claudio Piersanti e dello stesso Milani, prevedibile, senza lazzi clamorosi, senza un ritmo caratterizzante. È proprio lo script a soffocare il film nelle sue ambizioni, rendendolo un dramma sì intimo e delicato, ma anche fiacco e debole. Piano, solo non travolge e non cattura.

 

Una nota di merito va ad un cast di interpreti perfettamente aderenti ai personaggi a cui donano voce e volto. Da un Michele Placido sempre più prezzemolo e sempre più bravo alle sensibili Jasmine Trinca e Paola Cortellesi, dal cammeo di Sandra Ceccarelli ai bei ritorni di Mariella Valentini e Corso Salani fino a Roberto De Francesco e Claudio Gioè nei ruoli se vogliamo più positivi della vicenda. E poi, ovviamente, c’è il jazz che attraversa tutta l’opera, donandole quell’atmosfera intensa e emozionante che solo certa musica può dare. E sopra tutti spicca con elegante passione lo splendido Kim Rossi Stuart, fin troppo bravo nell’impersonare un personaggio decisamente non privo di ombre, dolente, angosciato e livido, che ha, particolarmente nella seconda parte, più di un’occasione di dimostrare tutta la potenza della sua malinconica recitazione. E bisognerebbe anche interrogarsi perché un magnifico attore come Rossi Stuart sia così sottovalutato dal pubblico medio, sempre sul punto di intraprendere il definitivo decollo. È proprio un’ingiustizia. 

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