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Vivo per la tua morte

Regia di Camillo Bazzoni vedi scheda film

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La recensione su Vivo per la tua morte

di scapigliato
8 stelle

Film irrisolto questo di Camillo Bazzoni. Regista di solo quattro lungometraggi, Bazzoni è il fratello di Luigi, regista ben più noto che aveva diretto Kinski in “L’Uomo, l’Orgoglio, la Vendetta”. Smanioso di fare il suo primo film s’avventura con un’impresa titanica voluta a tutti i costi da Steve Reeves, l’Ercole dei nostri peplum, che voleva chiudere la sua carriera al cinema con un grande western. E così è stato. Solo che il film non ha fatto il botto sperato, e ad oggi i pareri sulla pellicola sono diversi. I testimoni della produzione non hanno mezzi termini: la colpa è di Steve Reeves, morto nel 2000 ad Escondido, che voleva fare il cowboy senza esserlo e senza avere il fisico giusto. Infatti, è l’unico attore fuori luogo, e nonostante qualche posa ispirata, qualche sguardo di ghiaccio apprezzabile, la sua presenza in scena è una corda di violino scordata. Peccato.
Per il resto il film va rivalutato. Sicuramente il linguaggio cinematografico è un altro elemento irrisolto della pellicola perchè da un lato si avventura in giochi di zoom, carrellate, dolly e quant’altro inusuali per l’epoca e che mi ricorda molto il linguaggio televisivo delle serie-tv americane anni ’80; dall’altro è montato male, senza mestiere, e le scene non sono dirette con maestria (un po’ di colpe vanno anche al regista che non a caso ha fatto ben poco successivamente). Il punto di forza del film che lo rende un cult assoluto, ebbene sì lo è!, è la straordinaria carrellata di facce da spagowestern, soprattutto nel reparto villains. Il cattivo principale è Wayde Preston, volto da western superiore dieci volte a quello di Reeves, e che ha navigato non poco nel western di casa nostra. É lui, spacciandosi per un agente della ferrovia, ad essere a capo di una banda di banditi che ha rapinato il vagone portavalori di un treno che viaggiava proprio nella zona in cui Steve Reeves con il fratello e un vecchio cowboy stavano passando in cerca dei ladri dei loro cavalli. Vecchi amici, Preston e Reeves, si incontrano, si minacciano velatamente e poi si salutano. Ma è Reeves a cadere in trappola, e viene scambiato per uno dei banditi, portato a Yuma con il fratello e sottoposto a torture fisiche e psicologiche che saranno alla base della sua cieca vendetta. Il fratello è Franco Fantasia, il vecchio cowboy Spartaco Conversi. E già i nomi noti cominciano ad essere diversi. A loro vanno aggiunti innanzitutto Nello Pazzafini e Guido Lollobrigida. Questi due brutti ceffi del cinema di genere italiano sono una sadica guardia carceraria il primo, e uno sporco aiuto sceriffo il secondo. Lo sceriffo in questione è Mimmo Palmara, il secondo cattivo di ruolo della vicenda. A seguire ecco Rosalba Neri, prostituta dal cuore d’oro secondo copione; Aldo Sambrell nei panni di un cattivo messicano alle dipendenze della prigione di Yuma; Bruno Corazzari in un piccolo ruolo canagliesco come suo solito; e poi ancora Ivan Scatruglia e Mario Maranzana. Con un cast del genere è d’obbligo togliersi il cappello e rivedere il film con altre intenzioni che non siano quelle della critica oggettiva. Forse c’è troppa carne al fuoco e la regia non riesce a tenerla a bada. Infatti si attraversano diversi luoghi cinematografici e naturali cari allo spaghetti-western, come le ramblas del deserto di Tabernas (riconoscibili Rambla Lanújar e Rambla Benavides), le dunas del Cabo de Gata e di conseguenza il luogo narrativo dell’attraversamento del deserto; e poi la notte all’addiaccio, la rapina al treno, il pueblo messicano a Los Albaricoques, la prigione nelle Miniere di Rodalquilar, e così via.
Se Reeves è un pesce fuor d’acqua, gli altri attori ci sguazzano benissimo, soprattutto Pazzafini a cui va la palma di miglior cattivo del film. Wayde Preston appare poche volte ed è troppo “americanizzato” per competere coi cattivi di casa nostra. Peccato per Corazzari e Lollobrigida, avrebbero meritato di più. Mimmo Palmara invece, cotonato e sopravvalutato, fa bene il suo mestiere, ma non ce l’ha la stoffa del cattivo, non è credibile. Ma il film è tutto poco credibile, la storia è troppo americana, nasce infatti da un romanzo di Gordon D. Shirreffs, “Juda’s Gun”, lontana dalle nostre corde anche se ogni spunto può andar bene, poi è la mano, la poetica e l’estetica di un regista a fare la differenza, ma qui la regia latita. Tutta l’impronta del film e la sua confezione finale lo allontanano dal gusto dello spaghetti-western, ma la rosa di attori messa in campo è antologica, e certe ispirazioni registiche anticipano i linguaggi futuri. Comunque da rivalutare.

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