Regia di Barbara Albert vedi scheda film
Cinque ex compagne di classe si ritrovano al funerale di un loro professore. Tutto lo spettro delle casistiche femminili: la single, l’emancipata, quella incinta, una con problemi penali e una figlia che la giudica, una riservata che osserva tutte le altre. Raccontata così sembrerebbe una stanca ripetizione dello schema “bilancio generazionale davanti al lutto”, in stile Il grande freddo, per citare l’esempio più eclatante e spettacolare. Di ammiccante invece il cinema dell’austriaca Barbara Albert non ha nulla, se non qualche quadro - foto fissa e pezzo rock o pop a commentarlo - in stile Le onde del destino. Quadri posti a inframmezzare e come a fissare le tappe della progressione piuttosto erratica delle cinque (brave) protagoniste, ed è bello rivedere Nina Proll, già premiata a Venezia nel ’99 per l’interpretazione di Nordrand, sempre della Albert. È un’idea di cinema volutamente dimesso, crudo, estremamente reale e vivo. Della postriunificazione, del postcomunismo, che ricorda a tratti le storie femminili di Bergman così come l’Allen di Interiors, a partire dall’icastica immagine della locandina. La caduta non è solo quella di una “sorellanza” caduta nel vuoto (la Albert, classe ’70, non può definirsi esattamente una veterofemminista), ma di un ideale di solidarietà, didatticamente rievocato (ed è un peccato) in un finale in aula.
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