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Latcho Drom

Regia di Tony Gatlif vedi scheda film

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La recensione su Latcho Drom

di Winnie dei pooh
8 stelle

Latcho Drom (Buon viaggio), presentato nella sezione "Un Certain Regard" del 46º Festival di Cannes, narra l'epopea dei gitani attraverso la loro musica, accompagnando lo spettatore lungo un percorso che parte dall'India per giungere fino in Spagna, percorso che si sviluppa nell'arco di un anno, dall'estate alla primavera.

Tony Gatlif (il cui vero nome è Michel Dahmani), regista e compositore algerino, figlio di padre berbero e madre gitana, trascorre l'infanzia ad Algeri e arriva in Francia nel 1960, durante la Guerra d'Algeria, con Latcho Drom prosegue il viaggio iniziato nel 1982 con "L'uomo perfetto" e che lo poterà a vincere il premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 2004, con Exils, e due volte il Premio César per la migliore musica da film, nel 1999 con Gadjo dilo - Lo straniero pazzo - e nel 2001 con Vengo - Demone flamenco.

Attraverso i canti e le danze, Gatlif mostra uomini e donne, giovani e vecchi che celebrano, incarnano e tramandano i valori culturali di un popolo da sempre reietto e perseguitato.

In Romania è la bellissima "Balada Conducatorolui" (Ballata del condottiero) a catapultarci in un passato recente facendo sanguinare ferite non ancora completamente rimarginate: "Ceausescu il criminale (...) Laggiù a Timisoara, a Timisoara la gente scende per strada, grida: 'E' la fine per il tiranno' (...) Sparano sulla folla, Ceausescu li sente: 'Tiranno, tu hai distrutto la Romania' (...) E' tornato il tempo di vivere, di vivere in libertà"; mentre in Slovacchia è un'anziana donna, con un numero tatuato sul braccio, a ricordare con la sua straziante canzone quella che è stata una delle più infami atrocità perpetrate dall'essere umano nei confronti dei propri simili e, nello specifico, nei confronti del popolo gitano: "Ad Auschwitz si muore di fame, ci imprigionano in grandi capannoni (...) il kapò è crudele, la vita così lontana, la morte tanto vicina".

Nel frattempo, i nomadi vengono immancabilmente allontanati, da tutti, polizia e gente comune, e in Spagna, una volta fatti sloggiare da un paesino abbandonato che avevano occupato, per scongiurare l'eventualità di un loro ritorno le porte e le finestre delle case sono fatte murare, mentre dall'alto di una collina che domina una città aliena, sorda e indifferente, una delle donne cacciate intona un disperato canto flamenco: "Tu sei stato deposto sulla terra da una cicogna, io ci sono stata gettata da un uccello nero. Che male c'è se la mia pelle è scura e i miei capelli nero gitano? Perché la tua bocca cattiva mi sputa addosso? Da Isabella la Cattolica, da Hitler fino a Franco, siamo stati vittime delle loro guerre. Certe sere provo invidia per il rispetto che porti al tuo cane".

 

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