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Il grande silenzio

Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film

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La recensione su Il grande silenzio

di Decks
9 stelle

Solo nella stagione del 67-68 uscirono dall'Italia ben 72 film del noto genere spaghetti western. Numero che equivale all'intera filmografia recente dell'Italia di un anno. Alcuni giustamente sono finiti nell'oblio, altri come questo bellissimo ed originale lungometraggio, sono ancora vivi nel cuore e nella mente.

Corbucci scrive una storia di un realismo unico: avvincente, emozionante, che critica non solo una nazione per la sua società corrotta e basata sulla violenza, ma tocca addirittura temi storici, mostrando come il vecchio e selvaggio west, non era solo avventure e duelli, ma più "selvaggio" di quanto si pensi: arretrato, crudele, razzista. Un clima che ha portato innocenti verso la morte, mentre i veri fuorilegge sono, non solo a piede libero, ma ricompensati per risolvere questioni più o meno private dei potenti. Spopolano i bounty killer, che hanno successo solo grazie ad uno stato ingiusto ed errato alla base. A contrapporglisi vi è il grande Silenzio, che rimane sul filo di una legalità insulsa e pressoché inesistente, proteggendo i deboli più per una questione personale che monetaria, spostandosi come un tristo e giusto mietitore tra il candore della neve, che tutto avvolge e tutto fa tacere.

Sono proprio le scene di silenzio/Silenzio ad essere le più significative; dopo un lungo echeggiare di spari, oppure da un viaggio in carrozza che mette a nudo il carattere dei protagonisti. Ad accompagnare il tutto vi sono le suggestive musiche di Ennio Morricone, che rimandano ad un'atmosfera invernale e fredda. Una certezza ormai nel campo sonoro, accompagnando le vicende di Silenzio e Tigrero con toni di alto valore simbolico. Le scenografie anticonformiste sono da manuale, veniamo catapultati subito in mezzo ad un clima a noi estraneo, anziché esser posti di fronte a pianure e deserti tipici del genere. Montagne che danno vita a luoghi più impervi e pericolosi, dove persino dentro un'accogliente dimora vi si cela una trappola. Anche le sceneggiature sono ben eseguite, facendo scivolare lo spettatore in frasi tipiche del vecchio west e dialoghi più o meno affascinanti, sempre secondarie, comunque, alla potenza visiva delle scene. Memorabili le interpretazioni e i personaggi; Klaus Kinski con il suo sorrisetto cinico, la sua viscida pazienza e la sola tonalità vocale stimola odio e inquietudine, più un disgusto fin dai primi fotogrammi che pochi altri antagonisti hanno saputo creare. Jean-Louis Trintignant con le sue movenze ed espressività riesce a far valere i suoi soli sguardi più di mille parole, con un personaggio etereo e sfuggente. Persino lo spavaldo sceriffo di Frank Wolff ha una grande caratterizzazione e unicità. Nulla da dire sulla regia, che è da maestro.

Tutto perfetto se non fosse per la storia romantica tra Pauline e Silenzio. In mezzo alla totale originalità, risulta come un elemento (troppo) tipico del genere, convenzionale e scontato. Le cui scene fanno perdere l'ottimo ritmo del film, senza essere melense, ma che si dilungano eccessivamente.

Realismo impietoso, ottimo disegno dei personaggi, musiche perfette. Tutto questo è uno dei migliori film di Corbucci, dove il silenzio rimbomba più del frastuono delle pistole. Un perfetto amalgamarsi di scene e atti che termineranno in un finale che trasuda tutta l'innovazione apportata da Corbucci, colpendo dritto al cuore e agli occhi del pubblico.

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