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La terra

Regia di Sergio Rubini vedi scheda film

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La recensione su La terra

di LorCio
8 stelle

La Terra, ancora più efficace con l’articolo determinativo, è un qualcosa di sentito al sud. Le terre non assicurano soltanto disponibilità economiche (ma se non le sai amministrare sono una rogna), ma rappresentano anche la proprietà, e solo iddio sa quanto sia importante essere proprietari di qualcosa per certe persone. Sergio Rubini, uomo del sud, sa cosa sia davvero la terra, considerando anche il fatto che qui il titolo del film sta ad indicare anche implicazioni romantiche (il tema del ritorno, topos di certo rubiniano tra esperienze e metafore), e sa quale sia il valore di essa.

 

Nel film c’è una famiglia composta da quattro fratelli che più diversi non si può, ma soprattutto c’è il grande terreno su cui si erge una masseria. Si sono tirati in ballo il romanzo russo e il western americano, e probabilmente tutti questi elementi sono confluiti nella sceneggiatura curata dal regista-attore con Carla Cavaluzzi e Angelo Pasquini (l’indimenticato Furio Scarpelli insegnava che un buon sceneggiatore doveva leggere, leggere e ancora leggere – soprattutto Cechov), ma il tutto è condensato con un tocco leggero ed orchestrato secondo un ritmo scorrevole tanto che la mole di tematiche narrate (famiglia, usura, meridione, morte…) non pesa minimamente e non appesantisce la visione, per altro resa ancora più piacevole dai paesaggi pugliesi (illuminati dalla fotografia di Fabio Cianchetti).

 

Suggestivo nella rappresentazione di un mondo al di là degli stereotipi ma a rischio macchiettistico (che comunque si evita proprio perché Rubini conosce la materia e sa di quel che parla), con un’ottima sequenza notturna tra scuola e processione, cadenzato sulle incessanti musiche di Pino Donaggio, è forse la normatizzazione del nostalgico ma mai retorico cinema (se non di genere, per quanto nobile) rubiniano. Il regista si dimostra un grande direttore d’attori, servendo a Fabrizio Bentivoglio la possibilità di offrire una prova polifonica e stratificata e ad uno stuolo di caratteristi (Emilio Solfrizzi, Massimo Venturiello, Paolo Briguglia, Giovanna Di Rauso) ruoli mai banali. E lo stesso Rubini si ritaglia la parte ingrata di un laido, schifoso e inquietante strozzino che è una delle cose migliori del suo repertorio.

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