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Jarhead

Regia di Sam Mendes vedi scheda film

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La recensione su Jarhead

di Furetto60
7 stelle

Film di guerra, senza scene di guerra. Ispirato all'autobiografia di Anthony Swofford. Ottima la prova attoriale di Jake Gyllenhaal

“Jarhead”, testa di barattolo, è il soprannome affibbiato di consuetudine, ai soldati americani del corpo dei marines, sia per il loro taglio di capelli, ma forse anche per l’opinione diffusa, che abbiano la testa vuota come un barattolo. Nell'estate 1990, dopo la consueta, massacrante fase di addestramento che tanto, troppo, ricorda, “Full Metal Jacket “ Anthony Swofford   persona vivente, non personaggio di fantasia,interpretato da Jake Gyllenhaal egregiamente, è una recluta che sembra non possedere alcuna inclinazione per la vita militare, ha solo seguito le tradizioni di famiglia, sia il nonno che il padre hanno partecipato ad eventi bellici, dunque stenta inizialmente a integrarsi. Spesso  subisce umiliazioni e punizioni da parte del  suo sergente maggiore istruttore e aguzzino. Dopo la durissima fase preparatoria,in cui affina l'innata attitudine a sparare,unico talento che sembra possedere, finalmente la squadra viene spedita nel deserto dell'Arabia Saudita, per combattere la prima guerra del golfo, i soldati sono ansiosi di entrare “nel vivo della battaglia”. Ma, non succede niente: i giorni si avvicendano, gli uni uguali agli altri. Anche quando raggiungono, i confini del Kuwait invaso dagli iracheni, la loro partecipazione al conflitto è “sulla carta”, di fatto solo un'interminabile attesa, stanziati in Iraq durante l'operazione "Desert Storm", Così trascorrono il tempo, tra interviste farsa con la stampa, punizioni sproporzionate e sadiche, visione di videocassetta con annessa sorpresa porno, gradita a tutti tranne al marine, la cui  moglie fedifraga gli ha beffardamente inviato la sua performance erotica, scherzi pesanti, battute grossolane, lettura della corrispondenza. Swofford si aggira nel deserto, insieme agli altri sventurati, attonito e annichilito dal torpore di una inerzia inutile. Nel loro andirivieni per le distese sabbiose scoprono all'improvviso, uno scenario apocalittico, una strage di uomini e macchine, corpi carbonizzati, figure umane ridotte a sculture mortuarie, sequenza da brivido. Il regista Mendes ce ne propone altre altrettanto “intense”; i soldati immortalati mentre si esaltano, guardando per l’ennesima volta l'attacco degli elicotteri del film "Apocalypse Now" sulle note della “Cavalcata delle Valchirie” di Wagner; i pozzi petroliferi cui gli iracheni di Saddam hanno appiccato il fuoco e la pioggia di petrolio, che l’investe all’improvviso. Finalmente dopo quattro mesi, sembra stia per succedere qualcosa. I marines attaccano, Anthony e l'amico Allen vanno in missione come tiratori scelti, giunti nelle zone calde, eccitati e manipolati, da una preparazione allucinata e massacrante, bramano di mettere in pratica ciò che hanno imparato, ma neanche in questa occasione possono sparare. Arriva il contrordine,i tiratori scelti, vengono by-passati e messi da parte dai lanciamissili e dall'aviazione, i cecchini e i fanti ormai obsoleti, sono stati sostituiti dalle “bombe intelligenti” e cosi, qualcuno perde la testa, qualcun altro riesce a mantenere il controllo. Comunque è tutto finito e la guerra è vinta, si torna a casa. Anthony dopo aver scoperto il tradimento della fidanzata, lascia la divisa e sembra deciso a rifarsi una vita da civile, come tanti altri commilitoni, che alla men peggio si riciclano. Altri, come il suo amico Troy saranno meno fortunati. Ciò che viene espresso con forza, è proprio il senso di inutilità che serpeggia nelle truppe. La regia indugia nello scrutare e studiare, le trame e le dinamiche che animano, la vita militare, cosi disumanizzante, ma al contempo anche pregna di solidarietà e cameratismo, si destreggia in bilico fra cronaca e denuncia. Il diario dal fronte del tiratore scelto Anthony Swofford aveva sollevato un vespaio di critiche, da parte del corpo dei Marines, il suo adattamento cinematografico, devia le attenzioni sull’aspetto umano dei protagonisti, depotenziandone le scomode implicazioni politiche, il contesto sfuma sullo sfondo. il Protagonista  è bravo nell’impersonare il carattere dell’americano medio, La macchina da presa con vigore, ma anche con pudore, si insinua nelle loro vite private, mostrando quel che c’è sotto le divise: esseri umani, in preda a paure, contraddizioni, spinti da un odio non sentito, ma inculcato, verso un nemico che non conoscono, in una guerra le cui ragioni non sono del tutto chiare. Basandosi sul libro-testimonianza scritto dal vero Anthony Swofford, Sam Mendes confeziona un film di guerra, senza scene di guerra. Per il regista e per l’autore, il corpo dei marines arrivato nel golfo, è un'armata allo sbando, con pochi mezzi, con ufficiali confusi, che danno ordini insulsi, soldati intimiditi, che passano dall’euforia alla depressione. Girato bene e lodevole nell’intenzione di denunciare più che l’orrore, l’insensatezza della guerra, i nemici sono gli iracheni, ma solo perché lo hanno dichiarato Busch e lo Stato Maggiore, ma in realtà la motivazione che li spinge contro i nemici, è vaga, generica, inculcata ma poco sentita: scovare e annientare le fantomatiche armi di distruzione di massa, tanto evocate, mai di fatto trovate. Il racconto però ricorre troppe volte a sequenze già viste in altri film bellici, cosi come qualche critico ha scritto sembra che il regista abbia realizzato il film  frullando pezzi di “Full metal Jacket” con quelli di “Apocalipse now” e perfino qualcosa di “Platoon”. Citazioni volute o casuali, non è dato saperlo.

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