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Il diario di Sueko - Il secondo fratello

Regia di Shohei Imamura vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il diario di Sueko - Il secondo fratello

di sasso67
10 stelle

"Fratello" è una parola che in questo film si riappropria del suo significato originario, pregnante; è una parola che contiene in sé una serie di rimandi (alla famiglia, alle radici comuni, allo stesso sangue, a tutto ciò che unisce due o più persone nate e cresciute insieme) stupendamente illustrati da un'opera, dell'ingiustamente poco conosciuto Imamura, che tocca le corde profonde dell'anima. I quattro fratelli Yasumoto, rimasti orfani dopo la morte anche del padre, tentano disperatamente di restare uniti, e più ci provano, più si devono separare. Il più grande, venti anni, è una specie di 'Ntoni Malavoglia, svogliato e sfortunato, che un po' come l'Alberto Sordi di "Mamma mia che impressione!" tenta il colpo della vita con una fantomatica maratona. Yoshiko, sedici anni, è colei che si sacrifica, che per prima si allontana per andare a lavorare dovunque capiti, per mantenere la famiglia. Takaichi, tredici anni, è il secondo fratello, il Nianchan del titolo originale, quello forte, volitivo, determinato a riuscire là dove il padre e il fratello maggiore non sono riusciti a causa delle loro condizioni di miseria; in sostanza, "Taka" è il nuovo Giappone, quello che si rimbocca le maniche per lavorare, ma non solo, è quello che sa far funzionare il cervello e, con un approccio aggressivo alla vita, saprà farsi largo senza più dover aspettare il pane dallo stato o dalle umilianti raccomandazioni ai potenti di turno. Sueko, nove anni, è la piccola di casa, la narratrice della storia, una specie di Anna Frank volonterosa che narra la propria storia al suo diario. È Sueko che usa più di frequente le parole "fratello" e "sorella" ed è lei che alla fine riconoscerà l'inutilità degli sforzi fatti per rimanere uniti: crollando con il capo sul quaderno sul quale sta raccontando le sue vicissitudini, concluderà scrivendo "sono sola". Ma non c'è solo questo. Nella cittadina carbonifera in cui si svolge la storia, c'è tutta l'umanità, compresi una vecchia usuraia che ricorda quella di "Delitto e castigo", un'assistente sociale dal cuore d'oro, un maestro elementare di buon senso, operai generosi e sindacalisti battaglieri. C'è un insieme di temi da far venire in mente tutti insieme "Germinal" e i "Malavoglia", il neorealismo cinematografico italiano (richiamato anche da qualche suono di mandolini), fino al realismo poetico tipo "Rocco e i suoi fratelli" (che comunque è successivo di un anno). Ed è tutt'altro che una lagna: vi sono sequenze ironiche e scenette perfino comiche, talvolta ingenue, talvolte raffinate; Imamura non si ferma davanti a niente (mostra, nel 1959!, anche un anziano a culo nudo), perché così è la vita. Il secondo fratello è un film eccezionale che conferma una volta di più il talento di Shohei Imamura, oggi quasi ottantenne (è nato il 15 settembre del 1926), il cui cinema, se ha un aspetto "scandaloso", come spesso è stato definito, è quello di non essere conosciuto a sufficienza qui da noi: basti pensare che non sono presenti recensioni su questo film né sul "Mereghetti" né sul "Morandini". E invece è assolutamente da vedere.

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