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All the Invisible Children

Regia di Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Ridley Scott, Stefano Veneruso, John Woo vedi scheda film

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La recensione su All the Invisible Children

di millertropico
8 stelle

Un interessante lavoro collettivo (composto da 7 corti affidati ad altrettanti registi di assoluto primo piano), che diventa una variegata indagine che, partendo appunto da differenti punti di vista e situazioni, prova ad indagare sull'infanzia troppo spesso rubata ai fanciulli in molte parti del mondo, fra l'indifferenza degli adulti e il complice silenzio di chi dovrebbe vigilare e invece non fa nulla (o troppo poco)..
L'obiettivo è nobile (anche se gli effetti pratici sono stati poco significativi visto come continuano ad andare le cose):  la volontà di supportare l'Unicef nel sostegno che questa prova a dare all'infanzia abbandonata, misera, sfruttata e soprattutto a rischio abusi, non solo nelle zone più derelitte e povere della terra, ma anche in quelle in cui il degrado urbano è arrivato ai limiti dell'insostenibilità.
Inevitabilmente (è la natura stessa delle opere in cui ci sono più registi a raccontarci le cose dal loro punto di vista e in base alla loro sensibilità e potenza espressiva) a presentare questo insormontabile limite) il risultato è disomogeneo, ma molto interessante nel complesso, anche se ovviamente le possibili carenze e le eccellenze, devono essere valutate rapportandole ai singoli contributi i cui livelli comunque (ed è bene sottolinearlo subito) sono mediamente soddisfacenti, pur con qualche concessione all'ovvio.
Scendendo nel dettaglio, gli episoni sono affidati  a Mehdi Charef, Emir Kusturika, Spike Lee, Katia Lund, Jordan e Ridley Scott, Stefano Veneruso e John Woo (fra tutti decisamente il migliore insieme a Spike Lee).
 L'episodio diretto da Charf (Tanza) parla della guerra civile in Africa,  ed ha al centro dello sguardo del regista, una pattuglia composta da giovanissimi (tra cui proprio i dodicenne Tara), che deve far esplodere 2 bombe in un paese. A Tara viene affidato il compito di collocare uno degli ordigni dentro a una scuola dove altri bambini come lui salteranno in aria.
La decisione di disinnescarla, tra difficoltà e pericoli, segnerà il suo ritorno a un'infanzia negata per diventare troppo presto "un adulto guerrigliero senza coscienza civile". Un ritorno alle origini della propria esistenza in formazione, che qui viene simboleggiata da una fionda nascosta e una foto di Ronaldo: progetto molto interessante che avrebbe dovuto però poter contare su una mano più decisa e sicura, perchè qui invece tutto risulta alla visione, troppo irrisolto nelle connessioni e poco approfondito per quel che riguarda la maturazione conflittuale del ragazzo.
A Kusturica è invece affidato il compito di parlare di carceri minorili (Blue Gypsy) e lo fa con il suo consueto stile beffardo e irriverente, caustico e tutto spostato verso la comica ironia che gli riconosciamo (ma che rappresenta anche un evidente limite). Niente di nuovo insomma in questa storia che parla di un ragazzo, Urus, che è appena uscito dal carcere minorile in cui era rinchiuso e sta per tornare a vivere con il padre che lo costringerà a rubare e a vagabondare... la cui morale in fondo è proprio quella che.... forse era meglio il carcere! (bella consolazione! si potrebbe dire: quasi la scoperta "dell'acqua calda". Da segnalare all'attivo, un travolgente incipit con lo scontro fra due cortei, uno funebre e l'altro nuziale.
Lee - come era ampiente prevedibile - parla invece dell'America e di Brooklyn (Jesus Children of America): Bianca è una bimba sieropistiva (nata da genitori che hanno contratto l'Aids). Tra l'ostracismo delle compagne di scuola e l'ignoranza degli adulti, si rende conto di che pasta sono fatti coloro che l'hanno messa al mondo, apre gli occhi e impara ad accettare la propria condizione contando soprattutto sulle sue risorse, grazie a un gruppo di aiuto composto da ragazzi che condividono lo stesso problema. Il disegno è toccante, il ritmo cattivo e travolgente. Uno Speke Lee allo stato puro imsomma, feroce, emozionante, rapido, colorato e scattante (che soarge a piene mani commozione e tanto vetriolo).
Bilu & Joao della Lund parla invece di due ragazzini che vivono  per strada raccolgiendo di tutto con il loro carretto (oggetti che poi rivendono per pochi soldi come fanno i robivecchi). Tra sogni di cibo e mattoni da portare a casa (quella che loro hanno elevato al rango improprio di "abitazione"), non sembrano scoraggiarsi mai nonostante  i soprusi e gli stenti. Il risultato è molto positivo, capace di farci percepire  la fatiscenza delle baracche e il disagio profondo che si vive fra quelle strade polverose, periferiche e abbandonate a loro stesse come le esistenze di chi è costretto a percorrerle giornalmente. Lineare e poetico, non spinge sul pedale delle emozioni, ma lascia con molta intelligenza che a parlare siano i due bambini che qui incarnano appunto "l'arte di arrangiarsi" nell'era della globalizzazione.
Felici anche le intuizioni di regia degli Scott (Jonathan) che ci regalano un episodio cupamente onirico che sembra essere quasi un flusso di coscienza: Thewis è un fotoroperter di guerra sopraffatto dall'orrore e il suo, un viaggio mentale nell'infanzia lontana e perduta, nel ricordo nostalgico delle gite al fiume con gli amici. Un percorso a ritroso, che gli consentirà alla fine di trovare la chiave giusta per provare ad accettare i drammi che osserva inerme per la sua attività lavorativoa, il tutto reso come una dramamtica speranza : quella di doversi confrontare con il formidabile istinto di sopravvivenza dei bambini.
Ciro di Veneroso è l'episodio italiano che vede la partecipazione della Cucinotta e la straordinaria fotografia di Vittorio Storaro che con le sue magiche luci impreziosisce l'insieme. Qui siamo a Napoli e viene raccontata una giornata "tipo" del giovane Ciro che nel suo progredire, tocca e sintitizza tutti i mali e i luoghi comuni associati a quella città. Nonostante la penna di Diego De Silva e gli interventi di nomi prestigiosi (oltre alla Cucinotta anche Ernesto Mahieux, Giovanni Mauriello, Tony Esposito e Beppe Lanzetta) purtroppo però il risultato è banalotto e soprattuto scontato.
Si finisce in gloria con Woo (Song Song & Little Cat) con questo piccolo gioiellino fra libro "Cuore" e melodramma, decisamente un po' sopra le righe , ma ben orchestrato, e molto affascinante. Una "favola buona" insomma persino a lieto fine: una bimba ricca e infelice getta una bambola dal finestrino. La bambola viene raccolta da un vecchio che poi la regala a una nipotina storpia che lui accudisce e che grazie ai suoi sforzi è riuscito anche a far andare a scuola. Dopo la morte del vecchio però, la bimba viene schiavizzata e mandata per strada a vendere le rose. Alla fine sarà proprio lei, questa piccola derelitta, a fare qualcosa per la bambina ricca, donandole rose e conforto, e a catena, quest'ultima aiuterà la madre a ritrovare l'equilibrio.

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