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Gli uccelli vanno a morire in Perù

Regia di Romain Gary vedi scheda film

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La recensione su Gli uccelli vanno a morire in Perù

di spopola
4 stelle

Un fasullo melodramma falsamente trasgressivo che spreca l’utilizzo di un cast di prima qualità in sterili elucubrazioni pseudo intelluttalistiche che conferma inequivocabilmente come non sempre chi eccelle nel genere letterario ottiene analoghi risultati quando decide di passare al cinema anzi!!!! Spesso è la mediocrità a farla da padrona (le eccezioni sono rarissime… e di Pasolini ce n’è stato uno solo purtroppo) ma qui francamente si va ben oltre la decenza, perché veramente è difficile salvare qualcosa in questo pasticcio che non riesce nemmeno a raggiungere la sufficienza sul versante dell’eroticità, proprio a causa della scarsissima qualità della messa in scena, più scolastica che dignitosa. Tanto di cappello allora per lo scrittore Romain Gary (anche se a mio avviso oggettivamente nemmeno il suo romanzo che ha ispirato questa opera era gran che e devono essere ricercate in altra sede e direzione le opere che lo hanno reso grande e necessario), ma pollice verso per il cineasta. Francamente sarebbe stato di gran lunga preferibile che si fosse astenuto dal cimentarsi in questa impresa presuntuosa e sterile, un esempio significativamente pregnante di pessimo cinema (fortunatamente isolato e unico) con il quale ha inteso mettere in scena il delirante ritratto senza capo né coda di una ninfomane disturbata fra tormenti ed estasi, con tanto di catarsi finale, a cui presta generose dosi del proprio corpo una un po’ appassita Jean Seberg (a quel tempo compagna dell’autore) ormai vicina a quel tragico e rovinoso “momento di perdizione assoluta” che avrebbe messo termine alla sua tormentata esistenza. Qui francamente è la noia a farla da padrona, né può essere considerata una parziale attenuante per il disastroso risultato, il fatto che l’edizione italiana fu fortemente “ridimensionata” con vigorose sforbiciate dovute alle consuete beghe censorie che in Italia hanno sempre perseguitato le pellicole che in qualche modo hanno a che fare con problemi correlati col sesso. Magari è venuta a mancare un poco la pruderie di una visione più strettamente voyeristica, ma si è così fortunatamente accorciata la sofferenza (una volta tanto dovremmo essere “grati” persino alla sessuofobia degli italioti esaminatori?) riducendo il tempo di permanenza in sala dell’incauto spettatore, il che credetemi non è cosa di poco conto in questa circostanza. Moglie ninfomane dunque e marito che dovrebbe ucciderla per questo (dietro sua esplicita richiesta) ma che non avendo il coraggio di farlo in prima persona… passerà il compito all’autista che però verrà ucciso prima di portare a termine l’incarico… il tutto condito da un’attesa estenuante ma tutt’altro che sterile, fra nuove scappatelle, innamoramenti e incubi persecutori. Sufficiente per disegnare il clima e il risultato? Se a questo si aggiunge l’imperizia tecnica di una realizzazione solo patinata e poco coinvolgente che spesso sollecita la risata per ciò che vorrebbe essere fortemente drammatico, si è ben disegnato il quadro dell’insieme (o almeno credo)!!! Accanto alla Seberg , sono stati compromessi in questa sconclusionata sarabanda fra amore e morte, Maurice Ronet nello scontato ruolo del solito poeta affascinante e “maledetto”, il grande (e qui fortemente sottotono) Pierre Brasseur, Danielle Darrieux e Jean-Pierre Kalfon. Un’ultima allucinante constatazione: il Farinotti ha il coraggio di assegnare ben tre stellette a questa insulsa divagazione porno-psicologica, il che fa supporre o una fortissima dose di masochismo da parte del valutatore o più credibilmente una non avvenuta visione “aggiornata” dell’opera. Ma come sempre, possiamo concludere che i gusti sono gusti, ed è inutile infierire in questi casi anche di fronte a divergenze così accentuate e macroscopiche!!!

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