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City on Fire

Regia di Ringo Lam vedi scheda film

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La recensione su City on Fire

di supadany
8 stelle

Far East Film Festival 21 – Udine.

Ammorbati come siamo dal bombardamento d’immagini cui siamo sottoposti, non ci stupiamo più di niente. In realtà, andrebbe (pre)stabilito un ordine, per differenziare chi è arrivato prima da chi sale sul carro in un secondo momento, chi sperimenta cambiando il linguaggio in essere da chi riprende la pappa pronta, anche quando ci aggiunge un pezzo in più, che gli permette di diventare un idolo (talvolta anche con ragione).

Sarà pure vero che contano gli effetti pratici, quelli dettati dal momento, ma la consecutio storica deve contare e City on fire rientra nella ristretta schiera di film spartiacque, quelli che hanno dettato una linea, da cui in tanti hanno attinto, talvolta arrivando a una fama maggiore.

Dopo la sanguinosa dipartita del detective Chow (Kong Lau), l’ispettore Lau (Yueh Sun) deve trovare un altro poliziotto da infiltrare nella gang criminale capitanata da Fu (Danny Lee), per sgominarla prima che compia altre rapine.

La scelta ricade sul suo nipote Ko Chow (Chow Yun-Fat) che, nel frattempo, starebbe pianificando un imminente matrimonio con Hung (Carrie Ng). Noncurante delle conseguenze, lui accetta l’incarico, che condurrà fino in fondo con un’abnegazione totale, nonostante la sua posizione in incognito lo porti a essere perseguitato dalla polizia e Hung non abbia più intenzione di aspettarlo.

locandina

City on Fire (1987): locandina

City on fire ha fatto scuola, qualsiasi fattore al suo interno è stato saccheggiato, in molti casi ripreso, rivisto e addobbato (il caso esemplare rimane Le iene. Cani da rapina di Quentin Tarantino).

Per questo, rivederlo oggi richiede lo sforzo di resettare la memoria, oppure di ricondurla ad altro (il rimpallo è comunque stimolante), attribuendo i meriti a chi se li merita, chi ha rischiato l’osso del collo.

L’operato di Ringo Lam è lungimirante, oltrepassando le regole che vorrebbero un lieto fine. Un’encomiabile saldatura di elementi, che comprende poderose sequenze d’azione, un’intimità da commedia sentimentale e alterchi drammatici, con le scelte dei protagonisti che producono rapporti di fiducia, ribaltano i ruoli e creano distanze incolmabili, interrompono storie assodate per aprirne altre senza futuro.

Una fusione che regala scene d’azione organizzate nel dettaglio, sfondi emblematici (un cimitero è simbolico e preveggente) e rapporti tesi, nei quali la fiducia viaggia sulle montagne russe, con deragliamenti che dettano i punti di vista, sempre più decadenti.

Infine, l’apoteosi finale è logorante e la carneficina esperita non fa prigionieri, tanto meno regala illusioni, è talmente spietata da ammucchiare cadaveri, senza fare distinzioni.

Un panorama impreziosito dal carisma versatile di Chow Yu-Fat, a tratti guascone e scavezzacollo, in altri temerario e votato al martirio, con una controparte che tiene il passo (Danny Lee) e una bellezza femminile da togliere il fiato (Carrie Ng), come tale più difficile da abbandonare.   

Tutti questi fattori fermentano un furore agonistico che eccelle nella tecnica (la rapina in gioielleria ha tempistiche esemplari, la sparatoria finale non guarda in faccia a nessuno), propedeutico alla distruzione di  ogni plausibile certezza, senza calcoli prestabiliti o ostaggi da liberare per soddisfare i cuori candidi.

Non è/era più tempo d’eroi.       

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