Regia di Alessandro D'Alatri vedi scheda film
Il geometra Mario viene assunto al comune di Cremona. La sua 'febbre' di fare lo mette però nel mirino del suo capo. Viene così trasferito all'ufficio cimiteri. Qui, contro ogni previsione, Mario troverà la sua rivincita.
I sogni dei trentenni, generazione allo sbando nell'Italia appena entrata nel terzo millennio: l'oggetto di La febbre non è da sottovalutare; anzi, la pellicola di Alessandro D'Alatri è una delle prime nel nostro Paese ad azzardare il ritratto di una generazione a cui è stato rubato tutto, che ha trovato tutto occupato e già impegnato dai genitori e che, senza il loro aiuto, è finita in ginocchio, umiliata e annichilita. Il protagonista della sceneggiatura che il regista scrive insieme a Gennaro Nunziante (la cui mano si nota, decisamente) e Domenico Starnone è un geometra con la febbre di vivere, costretto di volta in volta a ridurre i suoi obiettivi, perennemente in attesa di una rivincita; il fatto che alla fine del film questa rivincita arrivi è una scelta narrativa discutibile, ma in fin dei conti D'Alatri è un cineasta del disimpegno (quello meno frivolo, sia chiaro: non da cinepanettone) e non della denuncia. A tre anni di distanza da Casomai - c'era sempre D'Alatri dietro la macchina da presa - ritorna sul grande schermo Fabio Volo, attore davvero modesto e dalla presenza scenica controproducente; fortunatamente qui al suo fianco troviamo interpreti degni di maggior nota come Cochi Ponzoni, Valeria Solarino, Thomas Trabacchi, Julie (figlia di gerard) Depardieu, con particine anche per il comico (riciclato con esiti soddisfacenti in un ruolo serio) Stefano Chiodaroli, Paolo (figlio di Enzo) Jannaccio e due mostri sacri come Arnoldo Foà e Silvano Agosti. Musiche lagnose e barzotte: per forza, nella colonna sonora ci sono i Negramaro. Mezzo voto in meno per la salva di tirate retoriche degli ultimi dieci minuti. 3,5/10.
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