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Ballo a tre passi

Regia di Salvatore Mereu vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ballo a tre passi

di changquan
8 stelle

L'esordio nel lungometraggio di Salvatore Mereu è in grande stile e propone una struttura a episodi permeabili che si compenetrano popolandosi di personaggi che quasi impercettibilmente ritornano, mescolando dialetto sardo e italiano.
Il film si apre con un'atmosfera sognante ed intensa che ricorda certo cinema iraniano per la pulizia dell'immagine e la semplicità; un bambino uccide un topo con un secchio, provocatore ottico che tornerà alla fine dell'episodio. Il viaggio in camion dei ragazzini verso il mare è dolcissimo, e diverrà commovente al raggiungimento della meta. Stupenda l'inquadratura del bimbo che non riesce a trattenere le lacrime innanzi alla grandezza del mare che toglie il respiro. Nel secondo episodio il pastore Michele conosce una ragazza francese, Solveig, aviatrice per diletto, che lo inizia all'amore scatenando in lui un grido liberatorio e indimenticabile. Nel terzo episodio suor Francesca torna al suo paese d'infanzia (Yaël Abecassis l'attrice feticcio di Amos Gitai) e al matrimonio della nipote, improvvisamente interrotto da un acquazzone si sente di non appartenere più a quei luoghi ma ne gode gli aspetti più vivi e folkloristici. Dalle atmosfere festose e scanzonate si passa a toni sommessi e malinconici; Il film si chiude con Giorgio, un anziano che vive in città in qualche modo imparentato con alcuni personaggi delle sequenze precedenti, il quale ha un incontro "singolare" con una prostituta che in realtà si rivela una compagna di giochi e suona la fisarmonica per lui; al suono della fisarmonica la vita in solitudine dell'anziano si chiude con straordinaria levità in un finale in cui tutti i protagonisti si ritrovano in uno spazio onirico per accompagnarlo in cielo con l'aereo della spigliata aviatrice francese dell'episodio estivo (percepibile l'atmosfera di "Underground" di Kusturica e di qualcosa di felliniano).
Mereu con occhio quasi etnografico racconta la sua Sardegna uscendo dai luoghi comuni riguardanti quel luogo e intesse una trama fitta di personaggi dotati di intensità e semplicità. Inserisce i protagonisti in luoghi splendidi lasciando trasparire dallo schermo odori e sapori sanguigni. La pellicola scorre con rara delicatezza narrativa e rappresenta la metafora della ciclicità a partire dalle stagioni, che potrebbero essere lette come l'inizio della vita, l'esperienza inconsapevole, l'interiorizzazione dell'esperienza e l'epilogo della vita, lasciando però aperto il cerchio nel finale surreale.
Cinema da vedere al cinema più spesso (l'eterno dissidio insanabile tra valore artistico di un'opera cinematografica e distribuzione rara o inesistente).












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