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Lo specchio

Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film

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LukeGlanton

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La recensione su Lo specchio

di LukeGlanton
10 stelle

Nel mio ricordo.

 

“L’Anima senza corpo si vergogna come un corpo senza veste.”

 

Snocciolare poesia contemplativa nel tentativo di tirare conclusioni analitiche sul nostro passato non dev’essere necessariamente un’opera di dolore, per quanto dolorosa possa essere stata la vita stessa fino a questo punto (a quello di Andrej), uno specchio non è solo una metafora di questa semantica, di questa meccanica, del fatto che – Come in uno Specchio – ciò che è accaduto, ora è un fantasma (Come in un Weerasethakul), il quale resta con noi, si sveglia insieme a noi, ci accompagna nelle vicende quotediane e si fa stretto nella bara per starci vicino. Questo è un ricordo, per quanto sia scabroso o commovente se questo passato è stato importante quel che rimane è una prova di forza alla quale vince chi non dimentica nonostante tutto, Lo Specchio è un ricordo, la continua rimembranza Tarkovskiana lascia esterrefatti, e nel ricordo della visione la magia non svanisce, caparbia torna al cuore e al cervello restituendoci un trip composto da frame tristi, immersivi, di un onirismo che va contro il tempo, perché il tempo è stato un nemico.

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                                        Le 4 fasi della vita di una donna.

Le due muse della vita di Tarkovskij si incontrano in uno spazio sognante al di fuori della logica, dello spazio e del tempo, entrambe in virtù di essere creature simbolistiche nella realtà filmica portatrici viscerali del peso dei ricordi eterei del vegetativo Aleksei, l’Andrej filmico, il protagonista che ci proietta il Capolavoro, la mente dolorante che ci riempe di meraviglia.

Una madre, una moglie in Margarita Terekhova, ottima prova e bellezza folgorante, quel tipo di bellezza che porta in sé elementi malinconici e poco identificabili, la bellezza naturale ristagna nello sguardo, funge da portale per il pianeta dell’empatia, delle affinità, dell’immersione nella grazia, dell’ ascendenza della poesia, scrivere è già ricordare, ricordare è già teorizzarsi, un atto di coraggio, di fede, perché la sensibilità è un tumore che non si deve curare.

 

“(…) Percepire la connessione, per poter camminare di fronte e piangere come un vedova, per sentirsi ispirati, per comprendere il potere, per testimoniare la bellezza, per bagnarsi nella fontana, per ondeggiare sulla spirale della celestialita’, connettiti col divino, pur rimanendo umano.”

Tool – Lateralus. (Lateralus, 2001)

 

C’è un incendio attraverso quegli occhi comatosi :

Esiste un processo gerarchico che si occupa della frammentarietà piramidale che Tarkovskij dipinge in prossimità dell’analisi autobiografica che è Zerkalo, un ordine che si apre con quel passato fantasmatico dal sapore ieratico e rammaricante (quel sapore che implodera’ udendo gli scritti sentimentali Tarkovskiani della voce fuori campo), continua nella rappresentazione Nietzschana dell’errore reiterato con sua madre come con sua moglie, come il tutt’uno uterino che porta in se’ le più grandi gioie dell’esistenza dell’uomo che sta per morire… Non resta che dissolversi nella finezza stilistica del regista russo, nei silenzi abbandona(n)ti, quindi l’ anzianità della madre putativa dell’artista totale, lì a rappresentare la fine del personaggio filmico, la morte, l’occasione di non poter più ricordare, tutto svanisce, quel che rimane è il film più personale, criptico e onirico di un uomo dell’arte ha fatto il proprio itare e la propria fine.

“Lo specchio non è un titolo occasionale : il narratore vede la sua donna come la continuazione di sua madre perché gli errori si ripetono. La ripetizione è una legge, perché l’esperienza non si trasmette e ciascuno deve viverla”.

-Andrej Tarkovskij.

 

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