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Laissez-passer

Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film

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La recensione su Laissez-passer

di degoffro
8 stelle

Rec breve

Il piacere del racconto. Bertrand Tavernier rende omaggio al "suo" Jean Aurenche con un romanzo fluviale, appassionante e coinvolgente. Riscoprendo una pagina di storia francese poco conosciuta (l'importante e ricca attività cinematografica francese realizzata dalla casa di produzione tedesca della Continental, guidata da Alfred Greven), Tavernier costruisce un'opera di quasi tre ore, mai noiose, ripetitive o superflue, in cui emerge tutta la sua travolgente passione per il cinema e per la Storia. Tavernier si ispira al libro di memorie di Jean Devaivre (questo spiega un certo evidente sbilanciamento a favore della sua vicenda, a scapito di quella di Aurenche che, nella seconda parte viene lasciata in sospeso, quasi abbandonata) e realizza un affresco corale affettuoso, avvincente, compatto ed intelligente, sapientemente sospeso tra dramma e commedia, capace di interrogarsi, ancora una volta, sul ruolo e sull'importanza del cinema e di chi ci lavora in un momento storico altamente doloroso e difficile, con una Parigi perennemente sotto le bombe. In un film che non è solo un prezioso, illuminante, istruttivo e convincente documento storico, spicca poi una magnifica sequenza che è pura poesia: il lungo viaggio di 400 km in bicicletta di Jean per raggiungere la moglie. Ciclistico.

Voto: 8


Il piacere del racconto. Bertrand Tavernier rende omaggio al "suo" Jean Aurenche con un romanzo fluviale, appassionante e coinvolgente. Riscoprendo una pagina di storia francese poco conosciuta (l'importante e ricca attività cinematografica francese realizzata dalla casa di produzione tedesca della Continental, guidata da Alfred Greven), Tavernier costruisce un'opera di quasi tre ore, mai noiose, ripetitive o superflue, in cui emerge tutta la sua travolgente passione per il cinema e per la Storia. Due vicende principali si intrecciano: quella di Jean Aurenche, sceneggiatore donnaiolo che non ha alcuna intenzione di prestare la sua opera per i tedeschi e quella dell'aiuto regista Jean Devaivre che accetta invece di lavorare alla Continental anche per continuare la sua attività clandestina nella resistenza. E' proprio questa seconda traccia narrativa la più riuscita ed entusiasmante: l'ultima ora, a partire dal recupero di documenti preziosi delle SS da parte di Jean alla Continental, con conseguente viaggio in incognito fino a Londra, rientro a Parigi in tutta fretta, in tempo per la visita dei commissari della Continental inviati per verificare il suo stato di salute, ha il ritmo e la tensione di un thriller spionistico con i fiocchi baciato peraltro da una gustosa ironia (si pensi all'incontro quasi buffonesco con gli inglesi a Londra). Merito anche della maiuscola prova di Jacques Gamblin, non a caso premiato a Berlino con l'Orso d'argento quale migliore interprete. Tavernier si ispira al libro di memorie di Jean Devaivre (questo spiega un certo evidente sbilanciamento a favore della sua vicenda, a scapito di quella di Aurenche che, nella seconda parte viene lasciata in sospeso, quasi abbandonata) e realizza un affresco corale affettuoso, avvincente, compatto ed intelligente, sapientemente sospeso tra dramma e commedia (irresistibile l'incipit con l'arrivo alla pensione della celebre attrice amante di Aurenche), capace di interrogarsi, ancora una volta, sul ruolo e sull'importanza del cinema e di chi ci lavora in un momento storico altamente doloroso e difficile, con una Parigi perennemente sotto le bombe (notevole una delle prime sequenze con i bimbi di un asilo nido che piangono disperati mentre i bombardamenti distruggono la città). Accusato superficialmente di revisionismo, "Laissez-passer" ci ricorda con quale spirito di sacrificio ed allo stesso tempo con quanta inventiva (si sa, nelle ristrettezze economiche la fantasia umana si scatena) operarono in quegli anni autori come Clouzot, Becker, Autant-Lara, Cayatte ottenendo spesso risultati prodigiosi (uno su tutti "Il corvo"). "Il cinema è sogno e il sogno non ha mappamondo" viene detto al recalcitrante Aurenche. Del resto, come si sente dire nel film, gli autori sotto contratto alla Continental, lavoravano "non per i tedeschi ma con i tedeschi", nella speranza che "prima o poi il vento dovrà pur cambiare". Dedicato "a tutti quelli che hanno vissuto questa storia", ricco di aneddoti e curiosità cinefile mai intellettualistiche, pesanti o didascaliche, popolato da oltre un centinaio di personaggi meritevoli ciascuno di un suo personale film (soprattutto le donne di Aurenche), sostenuto da una sceneggiatura calibrata e densa di dettagli, firmata dal regista con Jean Cosmos, "Laissez-passer" (il lasciapassare che i tedeschi davano a chi lavorava con loro, ma anche un invito ad aspettare che il vento cambi) è un folgorante e sorprendente esempio di quel cinema classico che sembrava perduto e che è una gioia poter riscoprire e (ri)vivere. Come è stato giustamente scritto da Maurizio Umbriale "un curioso mix tra "Effetto notte" e "L'ultimo metrò". In un film che dunque non è solo un prezioso, illuminante, istruttivo e convincente documento storico, spicca poi una magnifica sequenza che è pura poesia: il lungo viaggio di 400 km in bicicletta di Jean per raggiungere la moglie. La voce che, nella versione originale, chiude il film è quella del regista. Toccante la canzone "Laissez-passer" sui titoli di coda. 2 nomination ai César per le musiche di Antoine Duhamel e per le scenografie di Emile Ghigo: entrambi si sono dovuti arrendere a "Il pianista". Peccato, infine, che nessuna menzione abbia ricevuto la prodigiosa fotografia di Alain Choquart.

Voto: 8

 

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