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Frente a Guernica

Regia di Yervant Gianikian, Angela Ricci Lucchi vedi scheda film

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La recensione su Frente a Guernica

di EightAndHalf
7 stelle

Per una storiografia cinematografica.

Il nuovo film di Gianikian (e di Ricci Lucchi, per lei postumo) torna a interrogare unicamente i materiali audiovisivi di repertorio fra il Primo e il Secondo Dopoguerra, dopo i formati più particolari e variegati dei Diari di Angela. In realtà la varietà e la complessità tematica del film non si esaurisce, anzi: Frente a Guernica è davvero un video saggio abissale su cosa guardiamo quando guardiamo materiali di repertorio, e su cosa parliamo quando parliamo di Storia.

Il film, accompagnato dalla voce fuoricampo di Yervant Gianikian e solo in una sequenza da un’altra voce, è idealmente divisibile in due parti. Nella prima ora, Gianikian racconta delle ricerche che ha compiuto durante il maggio del 2020, in piena pandemia: sequenze degli Anni Venti, Trenta, Quaranta, provenienti dalla Francia (i materiali di Après Vichy), dalla Spagna, dalle colonie italiane e francesi in Africa. Ogni sequenza introdotta da una scritta, che presenta gli eventi mostrati, nello stile dei titoli che si dànno ai primi filmati della storia alla fine dell’800, quando ancora i lungometraggi non esistevano e a malapena realizzava film Méliès. Filmati impressionisti, descrittivi, che Gianikian ci ricorda essere esistiti anche dopo, quando il cinema e l’audiovisivo in primo piano erano andati altrove. Lo sbarco di Chaplin e di due sportivi in un porto europeo così come il ritorno di un sultano di ritorno dalla Francia: piccoli eventi sparpagliati, che Gianikian, nella prima ora di Frente a Guernica, descrive con precisione e poche parole. Come materiali grezzi di una ricerca più grande. Per riconsegnare loro “dignità cinematografica” e allo stesso tempo come a mettere insieme i pezzi di una civiltà dell’audiovisivo che va affrontata e storiograficamente adoperata come con le pitture rupestri o le statue greche. Pezzi di storia in movimento, che da soli non vogliono dire niente o quasi. L’accostamento con The Cigar Box di Segundo de Chomon del 1909 non è affatto un semplice vezzo cinematografico: la prima ora di Frente a Guernica è come guardare una compilation di corti delle origini del cinema di fine Ottocento. Solo, con la storia del Primo Novecento, che è una storia soprattutto di sopravvissuti.

Con l’avvio della seconda parte, più concentrata sulla lotta della popolazione spagnola contro il brutale fascismo dopo Guernica e soprattutto dopo la distruzione di Madrid, Gianikian comincia a indagare in modo alternativo lo stesso tipo di materia audiovisiva. Alcune immagini partono ben prima che le sue parole possano descriverle e contestualizzarle, e il framerate sembra smettere di dipendere dallo stato dei filmati di partenza ma comincia a dipendere da una scelta estetica più urgente: a cosa assomigliano davvero quelle immagini se le parole non le accompagnano? A cosa serve una fotografia di un momento senza niente attorno, senza un montaggio? L’accostamento delle immagini in Frente a Guernica diventa una ricerca cubista che si interroga sul massimo sistema Storia: di cosa è fatto esattamente? Di immagini o di parole? In questa trasversale riflessione, Gianikian sembra allusivamente ammettere la fallibilità dell’immagine isolata e allo stesso tempo il fascino della sua natura aliena e irraggiungibile.

E il finale, sul racconto di Guy Debord a proposito di Picasso che risponde a un generale tedesco durante l’Expo di Parigi nel 1937 (dove viene presentata per la prima volta Guernica), lascia in modo lapidario l’interrogativo di Gianikian sulle immagini: cosa hanno dentro? La Storia, o la Storia è un’idea e l’immagine è qualcosa di talmente autentico che neanche noi riusciamo davvero a “vederla”?

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