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American Fiction

Regia di Cord Jefferson vedi scheda film

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La recensione su American Fiction

di supadany
6 stelle

La ragionevolezza ce la siamo giocata da un pezzo. Soprattutto negli ultimi tempi, con la complicità di strumentalizzazioni a cui nessuno rinuncia quando tornano utili, molte posizioni hanno maturato preclusioni incrociate e si sono talmente polarizzate da non consentire dialoghi costruttivi, impedendo di trovare punti d’incontro tali da placare/soddisfare i singoli contendenti. Semplificando, è tutto bianco o nero, giusto o sbagliato, vincente o perdente, le mezze misure sono bandite, malviste – neanche si trattasse di un tradimento - da ambo le parti, un eventuale pareggio è incassato come un’imperdonabile debacle, una macchia incancellabile/inaccettabile.

Nel frattempo, mentre si trasla da una disputa all’altra tralasciando – volenti o nolenti - questioni cruciali in perenne sospensione, la tendenza è negativa, palesando un insanabile deterioramento dei supporti/rapporti a ogni latitudine.

Difficile trovare in giro un film così sfaccettato e contrastante, che in poco meno di due ore accetti di affrontare/sintetizzare a viso aperto tanti argomenti ingombranti/infiammabili, apponendo anche parecchi punti interrogativi che dovrebbero scuotere il pensiero, come accade in American fiction, con ogni probabilità in esubero per permettere di stabilire equilibri e risoluzioni in grado di essere pienamente convincenti.

Professore universitario e scrittore integro fino al midollo, Thelonious “Monk” Ellison (Jeffrey WrightAngels in America, Westworld) si ritrova senza cattedra e con un nuovo libro che nessun editore ha intenzione di pubblicare.

Come se non bastasse, sua sorella Lisa (Tracee Ellis RossL’assistente della star, Black-ish) muore improvvisamente, sua madre (Leslie UggamsEmpire, Il pirata dell’aria) mostra segni di Alzheimer e il fratello (Sterling K. BrownThis is us, American crime story) non gli fornisce alcun tipo di aiuto.

Mentre conosce Coraline (Erika AlexanderI Robinson, Bosch), una donna che lo ammira come scrittore e con cui intraprende una relazione, Monk scrive di getto un libro che racchiude tutti quegli stereotipi che detesta con tutto se stesso, presentandolo sotto falso nome, per giunta come evaso di prigione.

Inutile dire che gli editori faranno carte false pur di accaparrarsene i diritti e che subito dopo diventerà un best seller, attirando le attenzioni di Hollywood, che lo ricoprirebbe d’oro per trarne un film da lanciare nella corsa agli Oscar.

 

 

Erika Alexander, Jeffrey Wright

American Fiction (2023): Erika Alexander, Jeffrey Wright

 

 

Sceneggiato e diretto da Cord Jefferson, esordiente al cinema e navigato regista televisivo (nove episodi di Watchmen, addirittura venticinque di The good place), con soggetto ispirato dal romanzo Cancellazione di Percival Everett, American fiction è stato un outsider della stagione dei premi 2023/2024, conquistando l’ambito premio del pubblico al Festival di Toronto, un Premio Oscar (alla miglior sceneggiatura non originale) e svariate candidature.

Trattasi di un lavoro intellettuale e scomodo che sa farsi valere e mettersi in discussione, indubbiamente interessante, all’interno del quale vi si ritrova praticamente di tutto, tra assaggi e approfondimenti, stilettate affilate e sintesi veloci. Sostanzialmente, avvicenda dinamiche pubbliche (lavorative/artistiche) e private (familiari), una satira arguta sui costumi attualmente imperanti e un dramma che stritola la sfera affettiva.

Va da sé che il bilanciamento risulti precario, che la carne al fuoco sia fin troppa (per personaggi e avvenimenti), con molteplici accenti e parentesi episodiche, frangenti di pura goduria e altri facilmente dimenticabili, come una chiusura un po’ troppo fiacca, per quanto non priva di significati. Così, tra bastone e carota, padella e brace, paradossi e parossismi, il dito viene inesorabilmente puntato contro un sistema culturale che predilige equazioni collaudate, delle formule semplici, delle tabelline recepibili dal primo che passa, che vuole solamente saziare la fame della plebe tramite prodotti alimentari, puntando al profitto immediato e alla fama, spacciando luoghi comuni – duri a morire - per mantra comprovati/indiscutibili. Al contempo, scatena una tempesta dietro l’altra anche sul fronte umano, tra lutti, malattie, matrimoni, relazioni che nascono e muoiono (anche collaterali), con un surplus che avrebbe necessitato di qualche taglio a favore di altri prolungamenti.

Dunque, il materiale è pantagruelico e la qualità variabile, con una spola incessante tra cause ed effetti contrassegnata da spunti brillanti, da zampate che lasciano il segno e fanno riflettere con un sorriso amaro, con punti di vista supplementari/superflui, quantunque tutto rientri in quel coacervo di situazioni che ci vedono protagonisti perennemente insoddisfatti/dannati/spiazzati o spettatori incavolati/infervorati/attoniti/beffati.

Infine, al di là di qualsiasi considerazione amorevole/ostativa si possa formulare sul film, primeggia/svetta l’interpretazione di Jeffrey Wright, un attore da sempre (sotto)utilizzato come caratterista da tanti autori eccellenti (la lista è sterminata, vedi filmografia), che copre box to box un esteso/variegato campo emotivo, con sottolineature puntuali che da sole demarcano il territorio e fanno la differenza.

 

 

Jeffrey Wright, Sterling K. Brown

American Fiction (2023): Jeffrey Wright, Sterling K. Brown

 

 

In poche parole, American fiction è un film sovrabbondante, beffardo e sgargiante, che prende in contropiede e rompe le uova nel paniere (anche a se stesso), ponendo tante domande fraudolente, che spesso hanno/ricevono risposte implicite/superficiali, con un tiro alla fune costellato da movimenti improvvisi, strappi e input, di quelle distorsioni che, a vario modo, non risparmiano il quieto vivere e le certezze di nessuno.

Andando a zig zag tra onestà intellettuale e opportunismo, la legge tritacarne del mercato e una coscienza che pungola, il successo e l’oblio, onde da cavalcare e integrità irrinunciabili, parole d’ordine e corpi estranei, vecchie storie e un’attualità che non perdona nulla, una forma mentis inquisitoria che ti pugnala alla spalle alla prima occasione utile e che ti porta in trionfo quando la assecondi.

Duttile e stimolante, instabile e propositivo.

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