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John Q.

Regia di Nick Cassavetes vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su John Q.

di degoffro
6 stelle

"La cosa più sana in questo paese non sono i valori, ma ! I colletti bianchi o blu e poi c'è chi il colletto non ce l'ha. In quell'ospedale c'è la chirurgia, la chirurgia ambulatoriale e poi la chirurgia per gli sfigati. C'è tanta gente dappertutto. Gente che non ha 250.000 dollari. Far vergognare così un uomo e metterlo con le spalle al muro. Mi sembra proprio che qualcosa sia malato, non qualcuno!"

Prima che Michael Moore affondasse il coltello nella piaga con il suo "Sicko", il cinema americano aveva poco frequentato il tema scomodo del sistema sanitario negli Usa e, soprattutto, il ruolo dominante e nefasto che, al riguardo, hanno le diaboliche assicurazioni. A memoria, in tempi recenti, vengono in mente l'eccellente e malinconico "L'uomo della pioggia" di Francis Ford Coppola (da Grisham) e il non imprescindibile "Se mi amate..." satira, solo a tratti corrosiva, firmata da una vecchia volpe, un pò in disarmo, come Sidney Lumet. E, con le dovute proporzioni, proprio al cinema del maestro di "La parola ai giurati" e "Serpico" deve avere pensato il figlio d'arte Nick Cassavetes per il suo "John Q.", omaggio esplicito al classico ed intramontabile "Quel pomeriggio di un giorno da cani" con uno stratosferico Al Pacino. Non a caso il montaggio di entrambi i film è curato da Dede Allen. Il regista, reduce da due drammi familiari ("Una donna molto speciale" con la mamma Gena Rowlands e "She's so lovely" con Sean Penn e John Travolta) che rimandavano, con molta fatica e con risultati non proprio lusinghieri, al cinema del ben più dotato papà John, si butta a capofitto in un'opera di denuncia piuttosto rozza, grossolana ed elementare ma, a suo modo, efficace e coinvolgente. La sceneggiatura di James Kearns (al primo film per il grande schermo) è senza dubbio oltre modo prevedibile, ridondante e didascalica, danneggiata altresì da dialoghi spesso sentenziosi e lacrimevoli. Molti personaggi sono troppo stereotipati, a partire dai presunti cattivi (impersonati da Anne Heche e James Woods, all'inizio glaciali al limite del paradossale - vedi la sequenza scult in cui, impassibili, comunicano ai due genitori che il loro figlio ha pochissime possibilità di sopravvivere - poi redenti e solerti nel fare tutto il possibile per salvare il piccolo Mike), senza però dimenticare il reporter ambizioso in cerca di scoop e ben attento a riordinarsi i capelli prima di andare in onda, il poliziotto con aspirazioni politiche e dalle stellette al merito ben in vista sulla divisa, desideroso principalmente di stare sempre sotto i riflettori e l'anziano detective vicino alla pensione, comprensivo, paterno ed intuitivo (lo interpreta Robert Duvall che rifà, con classe, il suo personaggio di "Un giorno di ordinaria follia"). Cassavetes calca eccessivamente la mano sul patetico (la "commovente" telefonata in diretta televisiva tra John e Mike o la morte del bambino vicino di stanza di Mike), in molti passaggi è fin troppo enfatico o retorico (John Q disposto ad uccidersi per donare il suo cuore al figlio), si perde in parentesi superflue (per esempio quella relativa al personaggio di Mitch, arrogante, viziato e sfacciato figlio di papà), è schematico, fazioso, esagerato e semplicistico nelle sue pur lodevoli tesi, non fa nulla per evitare che la storia proceda lungo i binari consueti ed abusati dell'ovvietà e delle favolistiche e quanto meno improbabili coincidenze (quel cuore pronto ad hoc per il piccolo Mike ad esaudire le preghiere di John "Sto aspettando un miracolo. Sto aspettando un segno di Dio!"). E in modo quasi spirituale, infatti, si apre il film sulle note di un'Ave Maria scritta per l'occasione dal compositore Aaron Zigman su immagini che seguono un'auto guidata con disinvoltura da una giovane donna, mentre percorre spedita e sicura ad una velocità sostenuta una strada di montagna prima di un violento, improvviso e mortale incidente con un tir, a seguito di un azzardato sorpasso. Solo quasi a conclusione del film scopriremo il collegamento di questa scena, apparentemente avulsa dal contesto, con il resto della vicenda. Al di là però di queste sfacciate ed innegabili ingenuità che richiedono la complicità e l'indulgenza di uno spettatore di bocca buona, il film, come intrattenimento puro, tiene a dovere e non annoia, l'empatia per il protagonista è assoluta, il ritmo alla E.R. (c'è pure un'operazione a cuore aperto) è sostenuto, Denzel mattatore, tornato dopo l'immeritato Oscar per "Training day" ad un ruolo più consono alle sue corde, dà il meglio di sè. Il cast di contorno è extralusso ma per lo più è relegato a ruoli senza spessore e già visti, anche se Anne Heche come inflessibile, cinico e spietato amministratore dell'ospedale è senza dubbio incisiva (si pensi alla sequenza in cui illude la madre di Mike sul fatto che il figlio sia stato inserito nella lista, ricevendo pure gli ironici complimenti del poliziotto Duvall per la sua sceneggiata o quando ancora, perentoria, afferma ai due genitori disperati "Offrire un servizio sanitario ha dei costi. Sono esorbitanti per voi, ma lo sono anche per noi!"). Cinematograficamente il film è poca cosa dunque, anche perché Cassavetes junior, che si concede un cameo (è uno dei reporter sui gradini del tribunale nel finale) non ha la stoffa del padre ma nemmeno quella di un altro gigante come Coppola (ma anche il Lumet di "Quel pomeriggio di un giorno da cani" resta una chimera). Da un punto di vista emotivo però non si può negare che, da padre di famiglia, il film, certo ben lontano dall'essere travolgente ed originale, centra comunque in pieno il suo obiettivo, in quanto Cassavetes gioca facile e un pò subdolamente nel far scattare l'identificazione con la rabbia, lo sconforto, la desolazione e l'impotenza del protagonista. Con il merito in ogni caso non trascurabile di (ri)portare alla luce le discriminazioni e le assurdità di un sistema ottuso e sbagliato che nega alcuni diritti che dovrebbero essere fondamentali per tutti, a prescindere dal reddito personale. Come dice furibondo un infermiere del pronto soccorso: "Qua dentro se non hai soldi ti becchi un bel cerotto, un calcio in culo e ti mettono fuori dalla porta!" E' forse questa la verità più amara e desolante del film che, sotto questo profilo, come è stato scritto giustamente da più parti, è davvero un'opera militante. Dedicato dal regista alla figlia Sasha, affetta da una patologia cardiaca analoga ma meno grave rispetto a quella del piccolo protagonista. Jay Leno, Larry King ed il regista Ted Demme, al suo ultimo film, interpretano se stessi. Ray Liotta, qui nei panni del capo della polizia tutto stellette, era già stato protagonista di "Articolo 99", altro interessante ma incompiuto film ospedaliero. Piccola curiosità: "John Q." era originariamente il titolo di "Quarto potere" di Orson Welles. Oltre 70 milioni di dollari al box office statunitense, di cui 23 al primo week end; 2 milioni e mezzo di Euro in Italia dove è stato distribuito dalla Nexo nel maggio 2002.
Voto: 6

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