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La dolce ala della giovinezza

Regia di Richard Brooks vedi scheda film

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La recensione su La dolce ala della giovinezza

di EightAndHalf
6 stelle

Nell’America della corruzione politica, della speculazione industriale e del divismo hollywoodiano, anche Romeo e Giulietta (per lo più Romeo) perdono la loro innocenza virginale: Paul Newman è un gigolò di una diva del cinema, e cerca a tutti i costi il modo per avere successo, allo scopo ultimo di recuperare la donna che ama e che ha amato in gioventù, figlia di un politico senza scrupoli. La sovrabbondanza delle tematiche del film di Brooks, insieme a una strepitosa Geraldine Page, sono i due elementi salvifici per un film altrimenti condannato da un’enfasi drammatica invecchiata malamente e dall’assenza di quelle sottigliezze morali che facevano capolavori come “Il figlio di Giuda” o “I professionisti”. Prendendo spunto da una piéce di Tennesse Williams (e a quanto pare migliorandola), Richard Brooks dirige un affresco sociale pubblico e privato, sfasando tranquillamente alcuni di quelli che erano i canoni hollywoodiani, a partire da una messa in scena che si permette lo split screen e frettolosi salti temporali, fino alla trattazione di tematiche scottanti come sesso, droga e insidie del sogno americano. Mentre la guerra fredda e di Corea rimbombano sullo sfondo, questa polifonia umana, che si distribuisce sullo schermo teatralmente, si fa portavoce di speranze e illusioni fallite (che il finale forse ridesta e recupera, indebolendo il tutto), di mancati amori e di desideri di oblio, di ipocrisia e passati che riecheggiano dolorosi e lancinanti. Rischiando spesso la retorica (<<Le vere differenze stanno fra gli uomini che hanno vissuto le gioie dell’amore e chi non le ha vissute>>), ma dimostrando grandi capacità narrative, il regista americano ricerca patos in creature che sfuggono a qualunque rigore morale, e si lasciano andare a passioni istintive che li distruggono dal di dentro. Nessuno (o quasi) si salva da questo caleidoscopico e viscerale ritratto di un’umanità lasciata a sé stessa, in cui ricatti, vendette e oscurantismo trionfano e si ritrovano come il pane quotidiano. 
La diva Geraldine Page si dibatte sofferente per essersi vista attraverso un suo primo piano in un film (<<Quando la macchina da presa realizza il tuo primo piano, senti la tua esistenza stridere>>), il rampollo Paul Newman non guarda in faccia a nessuno per realizzare un sogno d’amore, neanche al privarsi della sua dignità (il suo nome, “Chance”, possibilità, non sembra casuale: il giovane americano che ha sprecato la sua possibilità), la giovane Shirley Knight ha vissuto sul suo corpo la maleodorante crudeltà del padre Ed Begley, che a noi italiani di oggi non ci fa apparire Silvio Berlusconi un arrivo tutto originale degli anni 80. Alla fine ognuno <<sa in che inferno deve tornare>>: questa “youthness” di cui parla Brooks non è per niente “sweet”, si cela nel ricordo e nasconde un futuro sconsideratamente buio, con rari spiragli di luce. Oggi apprezziamo il coraggio di quest’opera, ma non possiamo approvarne l’enfasi attoriale, che fa di tutta l’erba un fascio, e si perde nei meandri di una rassegnazione risaputa.
 

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