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Bussano alla porta

Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film

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La recensione su Bussano alla porta

di Barone Cefalu
5 stelle

Shyamalan prosegue con "Knock at the Cabin" con un cinema totalmente incentrato, nel corso della sua carriera, nello scrivere soggetti o ispirarsi a testi che in qualche modo sollevano questioni spesso inerenti la vita, la morte, ed il soprannaturale.

 

Shyamalan prosegue con "Knock at the Cabin" verso un cinema totalmente incentrato, nel corso della sua carriera, nello scrivere soggetti o ispirarsi a testi che in qualche modo sollevano questioni spesso inerenti la vita, la morte, ed il soprannaturale.

Lo ha fatto ovviamente utilizzando stili diversi ma allo stesso tempo servendosi di meccanismi evidentemente simili, spaziando dalle contaminazioni del film di genere, dal fantastico al "folktale", dal thriller psicologico con tinte horror a quello dei supereroi.

Alcune soluzioni si sono rivelate, nel corso della sua produzione, più azzeccate di altre.

Ritengo che i film più riusciti siano stati quelli, per dirlo banalmente, scritti o adattati meglio, dove la "rivelazione finale", che non è mai nel cinema del regista vista come soluzione, ma solamente come accettazione di un mistero proprio della vita e della morte, di cui possiamo comunque, a detta sua, modificarne il corso interpretando i segni che ci vengono posti dinanzi, è elemento che comunque si sposa e cresce in armonia con la storia.

 

"Knock at the Cabin", come il recente "Old" e pochi altri film del regista, è semplicemente un film scritto male.

Non mi soffermo sulla storia, che malgrado alcuni spunti interessanti, ha un forte senso di déjà vu, ma le soluzioni narrative adottate denotano un marcato sacrificio del dettaglio, dei particolari, delle connessioni tra i singoli eventi. C'è una evidente ansia da parte del regista di esser conciso, ma proprio come in "Old", la narrazione più che semplificata viene banalizzata, piegata ad un cinema di superficie, poco pensato e, soprattutto, meno ispirato rispetto al passato.

Shyalaman negli ultimi anni non è più interessato a raccontare una storia approfondendo i personaggi ed il contesto, ma cerca di svolgerla rapidamente riempiendo i passi falsi narrativi con fragili flashback. Così facendo crea un doppio binario narrativo che se a volte può risultare affascinante ("Signs"), purtroppo non viene approfondito, ma abbandonato e quindi reso accessorio. 

L'elemento soprannaturale, che un tempo giungeva inaspettato, e che stimolava lo spettatore alla riflessione, ormai  viene prematuramente svelato, forse per un pubblico che vuol pensar meno, che ha bisogno di esser tenuto per mano ed imboccato.

Si, è vero che le sue storie continuano a giocare abilmente nello scardinare le meccaniche di una vita fatta di consuetudini, di gesti ripetuti, di un individualismo esasperato e la denuncia di una allarmante mancanza di spiritualità, ma secondo me il regista, schiavo di alcune meccaniche divenute algide e rigide (senza dimenticare il solito cameo che ormai risulta quasi forzato, superfluo e forse infantile), ha sacrificato fin troppo proprio di un tipo di cinema, anche di genere, di cui era maestro. 

 

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