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Babylon

Regia di Damien Chazelle vedi scheda film

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George Smiley

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La recensione su Babylon

di George Smiley
9 stelle

Gigantesco, sbalestrato delirio celebrativo del cinema che fu e che non è più, "Babylon" di Damien Chazelle è, per quanto divisivo, il film di un gigante contemporaneo. Nonostante una struttura narrativa dispersiva e molto poco bilanciata, il film vive di intuizioni registiche e visive e di performance attoriali esagerate che attirano e sballottano lo spettatore in un caleidoscopico spettacolo dalle tinte decadenti ed estremamente "Fitzgeraldiane". Se mai vi è stata un'opera visiva capace di trasmettere al meglio l'atmosfera, gli eccessi, il clima libertino e la voglia di vivere della "Jazz Age" e dei ruggenti anni venti e il passaggio normalizzatore alla grande depressione e all'irrigidimento morale e caratteriale del Codice Hays, Babylon è esattamente quell'opera: Chazelle ci accompagna dalle feste sontuose e oscene, dai set caotici pieni di personalità eccentriche e dalla libertà anarchica degli anni '20 al tramonto di una generazione di artisti, attori e personalità e alla conseguente nostalgia per un passato eccessivo e irripetibile. Il passaggio dal cinema muto al sonoro è solo il pretesto per portare avanti un discorso ben preciso sul sistema hollywoodiano e sul cinema in generale, sul suo significato e sul rapporto che con esso ha chi vi lavora dentro: la settima arte è un dio esigente e opportunista capace di regalare fama, gloria e una vita in Paradiso a perfetti sconosciuti raccolti dalla strada per poi abbandonarli ciclicamente al tramonto della loro era e alla nascita di un nuovo periodo storico. Le persone arrivano e se ne vanno, le stelle sorgono e tramontano, il cinema invece si rinnova continuamente dispensando sogni e veicolando paure, trasformando l'immaginario delle masse ignare di quel mondo di cui osservano in sala il prodotto finito. Ma nonostante sia un dio ingrato e volubile, il cinema è anche in grado di regalare l'immortalità ai suoi adepti, i quali sacrificano la loro vita sull'altare del grande schermo per ottenere in cambio il proprio ritratto su celluloide, destinato a vivere in eterno "tra gli angeli e i fantasmi". Grande regia ricca di piani-sequenza, grande fotografia dai colori languidi e soffusi, grande colonna sonora jazz e grandi interpretazioni di un cast che vede coinvolti il giovane Diego Calva nel ruolo prima del tuttofare e poi del produttore esecutivo/regista Manny Torres, Brad Pitt nel ruolo cucito su misura della star al tramonto Jack Conrad (ispirato alla figura di John Gilbert), Jovan Adepo nella parte di un musicista di colore catapultato negli studios hollywoodiani e Jean Smart in quella della giornalista di gossip Elinor St. John, ma a fare la parte dei leoni sono in particolare una stratosferica Margot Robbie nei panni di Nellie LaRoy, figura ispirata alla diva del muto Clara Bow, la quale conferma per l'ennesima volta la sua caratura di grande attrice, e il redivivo Tobey Maguire, gangster truccato come Bela Lugosi e pronto ad accompagnarci in un inferno sotterraneo per mostrarci la sua personale galleria di Freaks, in un paradossale ma stupefacente omaggio al cinema horror di Tod Browning. Grottesco e sopra le righe, così come questo sorprendente, polarizzante e sfortunato film.

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