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Il boss

Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film

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La recensione su Il boss

di Donapinto
4 stelle

Terzo e ultimo tassello di una trilogia sulla malavita nostrana diretta da Fernando Di Leo, iniziata con MILANO CALIBRO 9 e proseguita con LA MALA ORDINA. IL BOSS e' una pellicola che gode tra il pubblico (a mio modo di vedere inspiegabilmente) di una considerazione talmente alta, quasi da oscurare la saga de IL PADRINO di Coppola. Di Leo, vero e proprio guru e punto di riferimento per Quentin Tarantino, dirige un violento mafia-movie che non lesina nel mostrare la convivenza fra una certa classe politica e la mala organizzata, tanto da far arrabbiare all'epoca un deputato democristiano che occupava la poltrona da ministro. Tolta questa particolarità, IL BOSS si riduce a un semplice film d'azione dove non si riesce a trovare un personaggio positivo e la violenza (spesso fine a se stessa) la fa da padrona. Vicenda e personaggi stereotipati, con un cast -tranne Richard Conte che sembra continuare il personaggio di Don Barrese- sbagliato o male utilizzato. Il riferimento va a Henry Silva (imbarazzante e disarmante nella sua monoespressivita') e a Gianni Garko. Attore bravo e navigato, Vittorio Caprioli da vita a un personaggio (il questore), che nelle intenzioni di Di Leo doveva probabilmente rappresentare la parte umoristica della vicenda, mentre invece risulta solo macchiettistico. Dialoghi volgari e dozzinali, aggravati da un'enfatica terminologia dialettale (il mafioso che a inizio film nel cinema cita la capitale della Danimarca) spesso urlata e unita a una gestualità di corpo e mani da divenire pessimamente teatrale. Quasi assurdo invece il personaggio della giovane e bella figlia di Don Giuseppe D'Aniello. Sequestrata da una banda di calabresi, dopo la paura iniziale, la giovane studentessa universitaria si lascerà andare con i suoi sequestratori a festini a base di sesso, whisky e marijuiana. A quanto pare per il regista, la ragazza rappresentava una improbabilissima critica al movimento sessantottino.

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