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Killers of the Flower Moon

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Killers of the Flower Moon

di steno79
9 stelle

Il più grande regista vivente torna dietro la macchina da presa, a circa 80 anni, e sforna un ennesimo capolavoro. È una consuetudine? 

Martin Scorsese è un regista che non molla, insegue le sue personali ossessioni, qui torna alle radici insanguinate della nazione americana come in "Gangs of New York", sangue che però qui si abbatte sugli indiani Osage, nativi d'America che hanno subito persecuzioni, omicidi a catena come ci racconta un saggio di David Grann da cui il regista ha tratto la sceneggiatura del film insieme a Eric Roth. Il film è una storia vera che però si segue su una durata "monstre" di tre ore e 26 minuti come un fluviale romanzo epico/western/mitologico/gangsteristico, dove il regista italoamericano non ha neanche bisogno di sottolineare i richiami ai suoi capolavori sulla malavita come l'inarrivabile "Goodfellas" o il più recente "The Irishman", anche se la saga di Ernest Burkhard e William Hale rimane una delle più cupe, pessimiste e violente di tutto il suo cinema. Cinema della maturità che arriva dopo un percorso filmico di cinquant'anni dove Scorsese ha sperimentato tutte le possibilità del medium cinema, forse le ha perfino esaurite ma continua a sfornare capolavori, un film gigantesco come questo dove il senso civico e lo sdegno per le violenze degli oppressori bianchi sui Nativi si inseriscono in un ampio affresco inevitabilmente dilatato nei tempi, ma dove praticamente ogni sequenza reca meravigliose idee di regia e di scrittura. Rispetto il parere degli spettatori meno convinti, ovviamente, ma davvero un film così viscerale e così lontano dal politicamente corretto può apparirvi noioso? Il film può avere difetti, lungaggini e prolissità nell'ambito di una "dismisura" nella drammaturgia di stampo leoniano che guarda almeno in parte a "C'era una volta in America" e ne replica praticamente la durata, inferiore di una decina di minuti; resta però l'ammirevole densità espressiva delle sequenze, dei fotogrammi, dei dialoghi, tutti all'insegna di un'ineffabile armonia pur nella cupezza del materiale narrativo. Leonardo Di Caprio cesella di fino uno dei suoi personaggi più tormentati e schizofrenici, mostrando al contempo l'ingenuità e la perversione con un talento che ormai dovrebbe essere assodato, e lasciamo perdere le inutili accuse di eccesso di smorfie; Robert De Niro trova una nuova occasione memorabile con il King di Osage, un boss mafioso travestito da benefattore e quasi eroe civico che risulta tanto più inquietante quanto più dà prova di affabilità e buone maniere; infine Lily Gladstone, la cui intensa performance sembra quella di una Meryl Streep degli esordi, vulnerabile ma sempre disperatamente assertiva della propria dignità di donna di una razza considerata "inferiore". Inutile fare l'elenco di tutti i contributi tecnici; il film forse si riaggancia allo Scorsese "spirituale", come osservato da qualcuno, ma resta una pellicola ambiziosa, forte, dolorosa, perfino definitiva.

Voto 9/10

Lily Gladstone

Killers of the Flower Moon (2023): Lily Gladstone

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