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Il collezionista di carte

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il collezionista di carte

di CineNihilist
8 stelle

“I trust my life to providence. I trust my soul to grace”.

 

Sono pochi i film degli anni 2000 che catturano pienamente l’essenza del XXI secolo in tutte le sue contraddizioni politiche, sociali, morali e spirituali con un approccio similmente “neorealista”, e i primi esempi che mi vengono in mente sono Her, Sorry We Missed You, Parasite, Non essere cattivo, Gomorra, Collateral, Animali Notturni, Gran Torino, The Social Network, Gone Girl, La 25esima ora, Shame, Lord of War, Good Kill, Irrational Man, Basta che funzioni, ma il film che forse riesce più a rappresentare in estrema sintesi la condizione intrinseca della società e dell’uomo post-ideologico del XXI secolo è per il sottoscritto il capolavoro istantaneo “First Reformed” di Paul Schrader.

 

Ethan Hawke

First Reformed - La creazione a rischio (2017): Ethan Hawke

 

La pellicola uscita ormai nel lontano 2017 e che ho recuperato soltanto nel recente 2020, mi colpì soprattutto per il suo rigoroso impianto registico tendente verso un minimalismo della messa in scena e una staticità delle inquadrature estrema, anche perché smaccatamente claustrofobiche nel loro formato in 4:3; condite poi da una fotografia così scura e cupa che mi immerse immediatamente in una narrazione così trascendentale, contemplativa, meditativa e filosofica nella sua affascinante lentezza, che mi spinse poi a replicare l'esperimento di Schrader con un cortometraggio fai da te che nella forma e nella sostanza voleva raccontare la medesima depressione esistenziale che sviscerava profondamente First Reformed. La penultima fatica dello sceneggiatore di Taxi Driver nonostante fosse la mia prima esperienza con la poetica “schraderiana”, già mi stregò per le sue complesse e pesanti tematiche di non facile assimilazione per un neofita del suo cinema quali la solitudine, la colpa, la grazia, la divina provvidenza, la rettitudine morale, il sofferto confronto con Dio e la propria fede religiosa, l’alienazione dell’uomo post-moderno nella società metropolitana, il nichilismo ed infine la depressione esistenziale, che si incastravano perfettamente nel sostrato teologico ed ambientalista che costituiva l’ossatura principale della pellicola, che mirava a denunciare la corruzione corporativa ecclesiastica statunitense con le grandi industrie inquinanti del paese.

 

La mia fascinazione morbosa, ma anche orrorifica, nei riguardi della pellicola visto che si connetteva pienamente al mio nichilismo ed ai miei dilemmi esistenziali tra speranza e disperazione speculari a quelli del reverendo Ernst Toller, mi portò successivamente a recuperarmi (anche per via del primo lockdown) soltanto un film della filmografia di Paul Schrader ovvero il folle e pulp “Cane mangia cane”, finché non mi si è ripresentata nuovamente l’occasione di immergermi nella poetica del controverso autore americano con l’uscita in sala del suo ultimo film “The Card Counter” (letteralmente il “contatore di carte”), ma tradotto da noi con il titolo “Il collezionista di carte” per renderlo più "figo" (dunque commerciale come il trailer) e meno coerente, proprio come successe con il film “Us” tradotto con “Noi”, commettendo un errore forse ancora più grave visto che si perdeva anche il senso allegorico del titolo.

 

First Reformed (2017) - Photo Gallery - IMDb

 

Paul Schrader con “The Card Counter” rimescola (letteralmente) le carte in tavola trasportandoci dalle lande gelide e desolate della First Reformed Church di Snowbridge agli affollati casinò dei grandi centri urbani della costa orientale degli Stati Uniti nel raccontarci il triste e solitario microcosmo di William "Tell" Tillich, ex militare carceriere di Abu Ghraib condannato a 8 anni di carcere per essersi macchiato di violazioni dei diritti umani durante la guerra di Iraq e che una volta uscito si è riciclato come eccezionale professionista del gioco d’azzardo, sapendo contare matematicamente tutte le carte e dunque tutte le probabilità presenti sul tavolo da gioco. Questa seconda vita mondana che lo porta passivamente da un casinò all’altro per vivere alla giornata in modo da non pensare ai suoi tremendi crimini passati, lo porta dapprima ad incontrarsi con l’affascinante La Linda che gli offre di fare da sponsor per le sue partite di Poker e successivamente a fare la conoscenza di Cirk, un giovane ragazzo assetato di vendetta per la morte di suo padre, anch’esso ex carceriere in Iraq proprio come William Tell.

 

Il riciclato giocatore d’azzardo all’inizio riluttante, ma poi profondamente colpito dalla storia del ragazzo in quanto entrambi testimoni di una conferenza di polizia presieduta dall’ex maggiore John Gordo responsabile delle torture del carcere di Abu Ghraib e delle ingiuste incriminazioni di tutti i suoi sottoposti tra cui lo stesso William che portarono indirettamente anche al suicidio del padre di Cirk, decide di persuadere il ragazzo dal proposito di vendetta mettendolo nella sua ala protettiva da mentore, cercando attraverso le vincite del gioco d’azzardo di ripagargli tutti i debiti così da poter continuare gli studi lasciandosi il passato alle spalle. Il tutto con l’aiuto della sponsor La Linda, che solidificherà i rapporti con i due uomini formando una squadra se non una vera e propria famiglia atipica, che ridarà nuova linfa vitale soprattutto al tormentato esistenzialismo di William Tell.

 

Oscar Isaac

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac

 

Nonostante il cambio totale di atmosfera rispetto a First Reformed, Paul Schrader ritorna sulle tematiche esistenziali e sulle dinamiche drammaturgiche che aveva tracciato nella precedente pellicola per riproporle in una nuova veste mascherata da “film sul poker” in “The Card Counter”, che per l’eversivo autore americano l’ambientazione nel mondo del gioco d’azzardo non è altro che un enorme MacGuffin per esplorare l’anima del suo protagonista maschile tormentato interiormente dai sensi di colpa, in questo caso rappresentati dalle torture commesse nella disumana guerra in Iraq nel carcere di Abu Ghraib. 

L’analogia tra il passato militare nelle guerre mediorientali del reverendo Toller di First Reformed con la conseguente aggravante di un’alienazione sempre più sofferta in una vita da civile e la medesima esperienza di William Tell è palese ed emblematica, perché Schrader insiste, come ha fatto con i reduci della guerra del Vietnam, su come lo stato di belligeranza permanente insito nella cultura militarista statunitense produca non solo malesseri socioeconomici e psicofisici nel mondo esterno, ma anche all’interno della sua stessa popolazione a meno che non si faccia parte di un’alta gerarchia protetta dagli apparati militari dell’establishment americano. La lacerazione nell’animo e i danni alla propria psiche la subiscono quindi soltanto la stragrande maggioranza dei militari o degli aguzzini di bassa lega come William Tell, che se miracolosamente gli va bene riescono a rifarsi una vita riciclandosi nel mondo del lavoro del sottoproletario americano ritornando dalla propria famiglia. Sennò, come accade al protagonista, ci si abbandona ad una vita solitaria e deprimente vivendo alla giornata senza un vero scopo, abbandonandosi di conseguenza ad un nichilismo passivo che si sposa perfettamente con la viziosa vita dei giocatori d’azzardo che si basa unicamente su un eterno presente composto da azioni meccaniche quotidiane, sperando che quest’ultime poi portino una qualche soddisfazione materiale in un futuro che non arriverà mai. 

 

L’essere intrappolato in questo automatismo giornaliero nei vari casinò - che sono la perfetta allegoria dell’algoritmocrazia della società tecnocratica contemporanea inquadrata perfettamente da Schrader con una regia spesso statica fatta di inquadrature generalmente strette nell’evidenziare quel senso di “seconda prigione” in cui il protagonista si ritrova, con una fotografia tra l’altro spenta se non tendente ad una desaturazione grigia nell’evidenziare quel senso di vuoto in cui migliaia di individui perdono sé stessi e costantemente il loro denaro - non fa che alimentare la depressione esistenziale di un William Tell che, analogamente al reverendo Toller, cerca di trovare un conforto nella divina provvidenza, nella grazia e nell’espiazione delle proprie colpe affogando nell’alcol ed annotando su un diario tutto ciò che tormenta il suo animo ormai condannato a convivere con un passato imperdonabile, che riemerge violentemente attraverso flashback sognanti, psichedelici e distorti messi in scena con un effetto fisheye in bianco e nero davvero particolare in cui il regista magistralmente mostra la crudeltà e gli orrori del militarismo statunitense.

Questa condizione assolutamente nichilistica del protagonista intrappolata dapprima in una prigione fattuale, poi allegorica (i casinò) ed infine mentale (gli incubi del passato), non solo viene enfatizzata nel momento in cui William cerca di replicare l’aspetto asettico e glaciale della prigione coprendo con dei teli bianchi tutti i mobili delle camere dei Motel in cui pernotta abitualmente ricordano l’estetica minimale di First Reformed, ma anche nel suo fisico deteriorato ed invecchiato precocemente, soprattutto nei capelli bianchi che cominciano a spuntare e ad uno sguardo totalmente spento, freddo, sciupato, perso in una realtà vuota ed assolutamente priva di qualsiasi stimolo se non il gioco d’azzardo stesso, che è l’unico motore che muove la vita da zombie che il grandissimo Oscar Isaac interpreta perfettamente nel tratteggiare la mimica facciale e la postura di un cavaliere errante e solitario. 

 

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In questo torpore fisico e mentale che contraddistingue la filosofia disfattista dell’ex carcerario, si riflette orribilmente nella condizione antropologica e sociologica in cui versa l’uomo del XXI secolo, che immerso in un mondo che illude il singolo individuo di avere la facoltà e la possibilità di cambiare la sua vita e il mondo stesso, in realtà costringe coloro che si ritrovano nei ceti medio bassi a “scommettere poco e vincere modestamente”, proprio come afferma William in quanto consapevole che se puntasse più in alto si ritroverebbe senza una lira in quanto i casinò (dunque il sistema) eserciterebbero contro di lui delle azioni di ritorsione, in quanto fondati unicamente per sfruttare il denaro e la dipendenza da gioco dei giocatori d’azzardo sia occasionali che professionisti.

La presa di coscienza lancinante dell’eccezionale "contatore di carte" che è condannato perennemente in una stasi annichilente che lo induce con rassegnazione ad accettare le rigide regole della giungla di un sistema imbattibile ed immutabile proprio come gli stessi apparati militari statunitensi che l’hanno indotto ineluttabilmente in un sentiero da peccatore, viene però ridimensionata e rivalutata nel momento in cui William incontra due persone che gli cambieranno la vita per sempre: La Linda e Cirk Beauford.

 

Oscar Isaac, Tiffany Haddish

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac, Tiffany Haddish

Tye Sheridan, Oscar Isaac

Il collezionista di carte (2021): Tye Sheridan, Oscar Isaac

 

Lo stile di vita errante, discreto, solitario, tenebroso e quindi enigmatico e paradossalmente affascinante che pone William sullo stesso piano dell’archetipo di un antieroe dei vecchi e gloriosi film noir, attira le attenzioni di La Linda, la perfetta Dark Lady che, analogamente alla figura femminile Mary di First Reformed, rappresenta il perfetto dinamismo emotivo che serve a scuotere il torpore mentale e fisico di William che nonostante tenga a debita distanza la donna per non coinvolgerla nella sua sofferenza interiore, cede dapprima al suo fascino sensuale per poi riscoprire insieme ad essa in realtà i colori della vita che il cavaliere errante aveva ormai perso di vista. Emblematica e poetica infatti è la magnifica scena, forse la più bella di tutto il film insieme a quella finale dello “specchio”, in cui il simbolismo registico schraderiano sprigiona tutta la sua potenza espressiva nel momento in cui finalmente la macchina da presa diventa più dinamica nel mostrare tutto il cammino notturno di William e La Linda in questa fiera fatta di edifici pieni di luci di qualsiasi colore, che illuminano finalmente fino ad allora una fotografia sempre desaturata ancorata nei casinò per dare finalmente un respiro ampio anche alle inquadrature che accompagnate da un pezzo musicale trascendentale sublime, infonde per la prima volta un’atmosfera pregnante di vitalità al protagonista che si riconnette finalmente alla pura essenza della gioia di vivere. Il tutto grazie ad una donna anch’essa solitaria ed immersa in una vita priva di veri stimoli, che finalmente trova l’agognata anima gemella nel complessato giocatore d’azzardo, che costituisce il necessario dinamismo emotivo per l’essere umano nell’uscire dalla sua stasi esistenziale che rischia di annichilirlo completamente.

 

In un mondo caratterizzato da alienazione, egoismi, prevaricazioni, ipercompetitività, solitudine, tristezza, malinconia, depressione - soprattutto in quello dei casinò - trovare persone che possano condividere ed appianare la sofferenza interiore nell’accettare queste amare realtà tipiche del mondo adulto, è quindi la soluzione schraderiana più ovvia da abbracciare per sopportare al meglio la caducità della vita e così temprare la propria salute mentale. Quest’ultima ormai è palese che debba essere la principale tematica su cui fondare dibattiti seri e costruttivi nel “moderno” XXI secolo invece che ignorarla completamente, se non addirittura stigmatizzare la problematica della salute mentale come fanno i mass media e i governi, in quanto conformi nel volere soltanto una società ipercompetitiva composta da soli vincenti, abbandonando per assurdo sia i singoli individui sofferenti sia le stesse masse additate come ignoranti, producendo così la definitiva frammentazione della società che si riflette palesemente nella politica che celebra la tecnocrazia e per niente la democrazia.

Paradigmatica è la scena in cui La Linda chiede se stia bene ad una commessa del casinò che sta piangendo seduta in un bar, e quando la dipendente risponde che va tutto bene, La Linda ribatte sarcasticamente che in realtà non stia affatto bene, infatti in una società composta da maschere pirandelliane si è costretti ad essere quello che non si è mascherando le proprie debolezze per adattarsi a qualsiasi contesto sociale producendo ulteriore alienazione nell’individuo che è costretto a negare i propri stessi sentimenti davanti agli altri.

Ed è quello che è costretto a fare inizialmente William per non ferire le persone con cui si relaziona quotidianamente preferendo le maschere, le cosiddette “poker face” dei giocatori di poker che almeno hanno come unico scopo quello di vincere il tavolo e portarsi la vincita a casa.

Il duo adulto, a cui si aggiunge il giovane ragazzo Cirk, cerca nel tempo di andare oltre l’ipocrisia e le maschere che questa società contemporanea impone ad ogni individuo cominciando a conoscersi meglio, perché personaggi così soli, disillusi, alienati e persi nell’etere della contemporaneità, non possono che costituire una famiglia atipica intrisa di una innata sincerità e di un approfondimento dell’animo spesso negate da chi ti vuole solo conoscere superficialmente.

 

Tiffany Haddish, Oscar Isaac on 'Card Counter' & sex scenes - Los Angeles  Times

Oscar Isaac e Tiffany Haddish são trambiqueiros no primeiro trailer de The  Card Counter - Arroba Nerd

Dean's Reviews: The Card Counter, Malignant, Everybody's Talking About  Jamie | WGN-TV

 

Il rapporto tra William e Cirk infatti è quello che spicca maggiormente per profondità a differenza di quello tra il protagonista e La Linda che rimane un po’ in disparte (e forse necessitava maggior spazio ed introspezione), ma che comunque rimane un tassello fondamentale per il percorso di redenzione e di una ritrovata speranza per l’ex torturatore di Abu Ghraib. 

 

Questi fattori però, acquistano ancora più importanza quando si confrontano i due maschi di questo stravagante trio di outsider, soprattutto quando entrambi condividono, con le dovute differenze, il loro terribile passato col militarismo USA che William si è ormai rassegnato ad accettare impotente di fronte ad un sistema più grande di lui, mentre Cirk essendo giovane ed assetato di vendetta, è invece più predisposto ingenuamente alla violenza, soprattutto perché suo padre si è dovuto suicidare per la disumanità che ha dovuto interiorizzare nelle infernali esperienze della guerra in Iraq, distruggendo di fatto tutta la famiglia di Cirk e il suo stesso scopo nella vita.

Il contrasto e la differenza di vedute delle due generazioni a confronto rappresentate dai due protagonisti maschili, vengono dilatati nei ritmi e nei tempi da Schrader per sottolineare al meglio la staticità della vita vacua ed errante che William e Cirk conducono di casinò in casinò, perché ormai uomini svuotati dalla caducità della vita che li ha messi però su un sentiero inaspettatamente comune che li pone in una lunga seduta di psicanalisi del loro spirito, in cui si svilupperà un inusuale rapporto da mentore e allievo che diventerà sempre più simile ad uno paterno.

Lo scontro generazionale che ne esce da questi due personaggi sconfitti dalla vita, porta William a sviluppare un'innata volontà paternalistica nel voler aiutare un ragazzo distrutto nello spirito e consumato dal desiderio di vendetta. 

 

Cirk Beauford infatti è la perfetta rappresentazione di una generazione Z rancorosa e massacrata dai ritmi della contemporaneità e dalle sue relative ingiustizie qui incarnate dalla macchina bellica statunitense, che porta all’estremo la sopportazione di una generazione ormai indebitata fino al collo che non può che crescere perennemente disillusa e furiosa contro delle istituzioni che non vuole più servire in quanto trattata come carne da macello ed agnello sacrificale per un bene superiore di cui beneficerà soltanto una ristretta élite di potere.

Il ritratto che ne viene fuori di Cirk è quello di un ragazzo figlio di una generazione priva di speranza, ambizione, prospettive ma soprattutto di un senso della vita che spesso si traduce solitamente in un nichilismo passivo oppure attivo nel caso di Cirk, che non avendo altro in testa se non che la volontà di vendicare il padre, ritrova in esso l’unico scopo di vita che valga la pena raggiungere con qualsiasi mezzo possibile.

Schrader nonostante sia figlio di un’altra generazione ma acuto osservatore della contemporaneità, dipinge una gioventù quindi bruciata e distruttiva nella sua esistenza a cui vuole dare un conforto empatico rappresentato dal protagonista assoluto William Tell, che nella sofferenza estrema del ragazzo ci rivide una parte di sé stesso che però vuole assolutamente salvare in un nuovo afflato messianico, in cui per la prima volta può davvero agire benevolmente cambiando addirittura il destino e dunque la vita di una persona.

La comune sofferenza porta quindi ad una ritrovata vitalità all’ex carcerario di Abu Ghraib, che traduce per la prima volta il suo nichilismo passivo viziato dal gioco d’azzardo in un vero e proprio motore di vitalità, che unitamente alla dolce e professionale presenza di La Linda, comincia finalmente a delinearsi un vero e proprio nuovo scopo messianico nella vita del tormentato William, che sarà dunque quello di ripagare tutti i debiti (tra cui quelli del college) del ragazzo attraverso le sue partite di poker in modo da aiutarlo anche economicamente a raggiungere sua madre, che ai tempi dell’alcolismo distruttivo del padre era fuggita di casa, in modo che possa quindi continuare i suoi studi ed abbandonare una volta per tutte i propositi di vendetta riunendosi con la sua famiglia.

 

Oscar Isaac, Tye Sheridan

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac, Tye Sheridan

The Card Counter' trailer sees Oscar Isaac go all in | What to Watch

 

I buoni propositi pedagogici e spirituali di William sembrano pian piano addolcire e convincere Cirk dal desistere nel vendicarsi sulla pelle del maggiore John Gordo, grazie anche ad una sospensione quasi onirica ed idilliaca di un trio che potrebbe vivere eternamente nella gabbia dorata del circuito di competizioni di casinò come una vera e propria famiglia, dimenticandosi così assieme tutti i problemi che li affliggono. 

 

In realtà come per tutte le anime disperate di questo mondo tutto ciò non rappresenta una vera e propria soluzione ai loro tormentati dilemmi interiori, che se per una generazione X rappresentata da William e La Linda può essere più sopportabile seppellire i propri problemi per costruire delle nuove fondamenta per un futuro più roseo e costruttivo, per una gioventù invece più caparbia, incosciente, manipolabile, frustrata, rancorosa e più portata all’irrazionalità della violenza incarnata dal personaggio di Cirk, è inaccettabile qualsiasi forma di compromesso, soprattutto se questo intacca la dignità e l’unico elemento di vitalità che guida un individuo.

Ed è infatti dal concretizzarsi di un bagno di sangue tipico della società americana condizionata dalla dura legge dell’Homo homini lupus di cui Cirk ne diventa (in)volontariamente uno dei tanti martiri, che riporta la ritrovata speranza e vitalità di William nel baratro della crudezza e della spietatezza insita nella tecnocrazia statunitense, che scientificamente fagocita e crea le ingiustizie nella propria fibra antropologica ormai provata dalla fatica imperiale dell’impero globale. Un imperium che comincia ad entrare in crisi nel momento in cui la furia iconoclasta del suo stesso popolo si abbatte sulle statue dei padri fondatori del mito sulla collina, che ora più che mai agli occhi di tutti sembra più una distopia se non un vero e proprio incubo sceso in terra.

 

È la fine del sogno americano quello che racconta Schrader nella sua ultima opera, che se in First Reformed criticava la crisi spirituale ed ambientale di una società americana ormai corrotta e prossima all’oblio, in “The Card Counter” il regista punta direttamente a criticare l’intera cultura militarista statunitense che nella sua estroversione globale ed imperiale ha prodotto in realtà un contraccolpo interno ancora più grave, tanto da portare gli stessi concittadini dell’Impero a ribellarsi contro l’establishment militare che si professa loro protettore, innescando di conseguenza una schizofrenia interna al paese tale da dover correre ai ripari ritirandosi da scenari esotici umanamente dispendiosi come quello afghano per ripensare la propria narrazione globale e gettare qualche bozza di Welfare State per tamponare l’emorragia di una classe media sempre più in diminuzione.

 

How 'The Card Counter' Found Visual Cues in Virtual Reality and Italian  Renaissance Painters

 

La feroce critica di Schrader di fronte ad una tale tragedia umanitaria che affligge la sua nazione, si sfoga nel ritrovato nichilismo attivo di William, che essendo figlio di quella cultura militarista che tentava di dimenticare, si trova dunque a sfidare a viso aperto il volto dell’establishment americano rappresentato dall’esaltato giocatore d’azzardo vestito da yankee che grida propagandisticamente “USA USA”, e che al preludio del terzo atto guarda con aria di sfida William sul tavolo da gioco. Convincendolo definitivamente ad imbracciare le armi come un vero giustiziere del Far West e vendicare così la morte di un disperato Cirk torturando ed uccidendo il demiurgo e mefistofelico maggiore John Gordo, il perfetto esecutore dello stato militare statunitense e la fonte delle sofferenze di tantissime vite tra cui quella di William e Cirk.

Non potendo più convivere con il senso di colpa da fallito pastore nel aver gettato involontariamente Cirk in pasto ai lupi e di aver sottovalutato lo stato della salute mentale del giovane ragazzo, William decide di incaricarsi di un fardello giustizialista guidato dalla divina provvidenza, macchiandosi di un altro gravoso peccato da collezionare nella sua scia di peccati imperdonabili per potersi intestare tutta la depressione, la rabbia, lo sconforto, l’impotenza, lo strazio e l’incredibile forza di volontà dell’americano medio contro uno Stato ormai negligente ed impossibile da abbattere nel momento in cui anche la sua impersonificazione del patriottico giocatore yankee vince il tavolo del match finale di poker.

 

Oscar Isaac

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac

Willem Dafoe

Il collezionista di carte (2021): Willem Dafoe

 

E’ dunque una partita persa quella dell’uomo post-ideologico del XXI secolo contro le élites che lo dominano, in cui la sua anima rimane perennemente intrappolata in una prigione mentale se non fisica nel momento in cui cerca di alzare per una volta la testa contro un sistema più grande di esso. Il sacrificio morale di William sul finale è dunque l’unica scelta disperata per porre una momentanea quiete ad un animo tormentato e dilaniato dai sensi di colpa che non può che trovare rifugio e (auto)castigo in un perenne purgatorio spoglio e gelido come la prigione, che forse un giorno potrà espiare definitivamente i peccati di un uomo impossibilitato anche a ricongiungersi con la sua dolce metà, La Linda, ovvero tutto ciò che rimane ad un personaggio imprigionato nel suo stesso spirito nichilista che forse un giorno potrà ritrovare nuova vitalità nella figura femminile sinonimo di speranza e grazia nella eloquente e sofferta poetica di Paul Schrader.

 

The Card Counter (2021) - Photo Gallery - IMDb

Oscar Isaac

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac

 

Insomma, il cineasta americano sodale amico di Martin Scorsese produttore anche del suo film, indaga ancora una volta egregiamente la desolazione spirituale ed umana del XXI secolo con uno sguardo lucido e trascendentale analizzando profondamente la società statunitense in cui è immerso, restituendoci un’opera anche profondamente europea e dunque intellettuale nel condannare la cultura violenta americana che si riflette anche nel suo Cinema, soprattutto quello più spettacolare ed esportabile alle nostre latitudini. 

La psicanalisi cinematografica che scaturisce da “The Card Counter” sul mondo e la società circostante nonostante sia carica di una componente riflessiva, depressiva ed annichilente che non può che colpire l’esistenzialismo di noi spettatori, risulta, a differenza di First Reformed che invece si concludeva con un martirio finale condannato alla disperazione, un minimo più speranzoso in quel tocco a “specchio” finale delle dita di La Linda e William Tell Tillich che suggerisce come siano i singoli rapporti umani che ci costruiamo l’unica ancora di salvezza da un mondo esterno sempre più cupo, funesto, corrotto, insensibile, affarista, pericoloso, violento e prevaricatore nonostante i numerosi progressi sociali.

La crisi spirituale del XXI secolo che genera sempre più una stasi mentale e un vuoto emotivo danneggiando inevitabilmente la salute mentale di chi non riesce a stare al passo con i ritmi della contemporaneità, è il malessere che Schrader filtra attraverso il suo sguardo religioso, se non addirittura agnostico, in cui denuncia le storture e le fratture psicosociali che comporta l’adeguarsi ad un sistema abbandonato da Dio che andrebbe radicalmente cambiato per favorire masse di individui piene di spirito propositivo alla vita invece che l’opposto, ovvero una società composta sempre di più da individui alienati, soli, frustrati, violati e sofferenti di una depressione esistenziale che ci porterà inevitabilmente ad un’era del nichilismo che sarà ben lontana dalla società della “decrescita felice” a cui molti esperti ed improvvisati illuminati mirano ad arrivare.

 

Il Cinema esistenziale di Schrader ci avverte quindi sui moderni pericoli della nostra contemporaneità (come tanti altri esempi di film “neorealisti” del XXI secolo citati ad inizio recensione) a partire dall’analisi del contesto americano che è chiaramente il perno di un sistema diverso e più estremo di quello europeo, ma che chiaramente influenza ed influenzerà sempre di più il contesto europeo, rendendo così non tanto distanti e quindi universali le problematiche mosse all’interno del “Collezionista di Carte”. 

 

Oscar Isaac, Paul Schrader

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac, Paul Schrader

Oscar Isaac

Il collezionista di carte (2021): Oscar Isaac

Paul Schrader

Il collezionista di carte (2021): Paul Schrader

 

Sta a noi quindi decidere se ignorare un cinema indipendente che mette sul tavolo profonde riflessioni sulle delle problematiche sempre più attuali ed emergenti per il nostro immediato futuro oppure ignorarlo completamente condannandolo al flop ai botteghini, avviando così anche l’inesorabile declino della Settima Arte in favore dell’immediato e leggero “panem et circenses" iper consumato ed iper pubblicizzato dalle piattaforme streaming e non solo.

Su questo punto sicuramente ognuno di noi ha la facoltà di scegliere a differenza di William Tell, che forse un giorno uscito di prigione riuscirà ad addolcire il suo animo rifugiandosi nella saggezza della vecchiaia, solitamente lontana dal voler cambiare il mondo, ma anzi, di adeguarsi completamente ad esso.

 

Voto 8.5

 

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