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Solamente nero

Regia di Antonio Bido vedi scheda film

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La recensione su Solamente nero

di maghella
6 stelle

Stefano è un giovane professore che a causa di un forte esaurimento nervoso, decide di trascorrere un periodo al suo paese, un piccolo borgo nella laguna veneziana. Ad accoglierlo al suo arrivo e ad ospitarlo c'è il fratello, Don Paolo, parroco del posto. Stefano fa conoscenza durante il viaggio in treno con una bella ragazza veneziana, Sandra, tra i due nasce da subito una simpatia.

Purtroppo però, Stefano a casa non trova quel clima rilassante che sperava. La notte stessa del suo arrivo infatti, il fratello assiste suo malgrado ad un efferato omicidio che si compie sotto la sua finestra. Ad essere uccisa è una medium molto conosciuta nel paese per le sue pratiche poco ortodosse e per essere soprattutto una gran ricattatrice.

Don Paolo, nonostante non abbia riconosciuto l'assassino, inizia a ricevere biglietti minatori. Stefano per aiutare il fratello cerca di venire a capo della matassa, mentre nel paese muoiono in modo efferato tutti i componenti presenti alle sedute spiritiche della medium. Intanto Stefano e Sandra cominciano a frequentarsi e tra i due nasce una storia d'amore. Stefano scopre a casa di Sandra un quadro dipinto molti anni fa dalla madre (ora paralitica) in cui è rappresentato un vecchio omicidio rimasto impunito accaduto quando lui era piccolo. Questo quadro pare assumere molta importanza per l'assassino, che fa di tutto per entrarne in possesso.

Come spesso accade in queste macabre storie, quello che appare non è necessariamente la verità dei fatti. Finale a sorpresa, con una citazione nemmeno troppo celata del capolavoro di Hitchock “La donna che visse due volte”.

Per apprezzare questo film bisogna catapultarsi negli anni '70. Respirare quelle atmosfere cinematografiche proprie del giallo all'italiana e avere un minimo di conoscenza di cosa stava succedendo in quel periodo. Siamo nel 1978, Antonio Bido è un giovane regista alla sua seconda opera (l'anno prima aveva girato “Il gatto dagli occhi di giada” con Corrado Pani). Dario Argento era stato consacrato maestro del cinema di genere con la sua “trilogia degli animali”, e stava assaporando ancora il gran successo internazionale con “Profondo Rosso” e “Suspiria”. Sulla scia di Argento si erano accodati tantissimi registi che riuscivano a produrre in quegli anni film di buon livello nonostante budget ridotti, che ottenevano l'approvazione del pubblico in sala. Era il cinema di genere all'italiana, quello che ha fatto scuola per gli autori futuri, tanto bistrattato dalla critica blasonata ma amato dagli spettatori che lo premiavano ai botteghini.

Antonio Bido è uno di quei registi che all'epoca ha contribuito con i suoi due primi film a fare grande questo genere di cinema. Questo non è un film a basso costo, vi è presente un ottimo cast con protagonisti Lino Capolicchio (all'epoca una star per il gran successo mondiale de “Il giardino dei Finzi Contini”, ma in questo caso soprattutto per “La casa dalle finestre che ridono”-1976) e Nadia Casini che era reduce dalle riprese di “Suspiria” uscito l'anno precedente. La storia è ambientata tra i canali e le piazze di Venezia e l'isola di Murano, il paesaggio lagunare porta alla mente il bellissimo film di Aldo Lado “Chi l'ha vista morire?” del 1972. Il film di Bido cerca un continuo contatto con il realismo arricchendo i dialoghi di contorno con il dialetto veneziano, questo aspetto è proprio di un certo modo di fare cinema che aveva visto in Pupi Avati il suo capostipite  con “La casa dalle finestre che ridono”. Ambientare una storia di delitti, non in una grande città conosciuta, ma in un contesto paesano e quindi a livello sociale più claustrofobico. Di Venezia non si vedono mai le piazze e i monumenti più famosi, ma si vive piuttosto l'aspetto più quotidiano: l'osteria, il porticciolo, la piazzetta. Questo era uno dei canoni di successo da adottare per creare un certo tipo di atmosfera necessaria per suscitare nello spettatore l'empatia giusta per apprezzare il film. Purtroppo quello che non rende ottimo il film pari al livello dei titoli ai quali Bido si ispira è una sceneggiatura poco incisiva e che sul finale vanifica alcune aspettative che aveva alimentato. Tutti i possibili sospetti vengono eliminati uno a uno fino alla spiegazione finale che lega gli omicidi del presente con quello del passato, ma rimangono alcune lacune sulla presenza del quadro (ad esempio) che perde di botto tutta quella importanza che gli era stata data.

Anche l'esecuzione degli omicidi rimane “monca” per l'incapacità di concludere con l'efferatezza necessaria dopo un'ottima preparazione di suspance. Lo spettatore nel 1978 è abituato a qualcosa di più da certe scene, e si rimane delusi dalla mancanza di crudeltà proprie di una mente malata quale deve essere quella dell'assassino in causa.

Ottima la colonna sonora, incisiva e davvero di qualità del maestro Stelvio Cipriani ed eseguite e arrangiate dai Goblin (scusate se è poco).

Il film di Bido è perciò un buon film di genere, che però non ha il coraggio di fare quel salto autoriale in più per poter entrare nella cerchia dei titoli da menzionare come punti di riferimento, oggi è un film da ricercare se si vuole ampliare il proprio bagaglio culturale sul cinema di genere italiano degli anni '70.

 

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