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Addio terraferma

Regia di Otar Ioseliani vedi scheda film

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La recensione su Addio terraferma

di ga.s
8 stelle

Leggero come l’ironia e ironico come la leggerezza, Otar Iosseliani costruisce un inno al vino e a suoi benefici e ilari poteri, che concedono all’uomo di librarsi spensierato così come si librano i personaggi di questo film, che sembrano inseguirsi inconsapevolmente, incrociarsi altrettanto inconsciamente e poi sciogliersi senza rendersi conto di tutto quello che precedentemente è loro accaduto. Un’ironia surreale o forse metafisica pervade quest’opera piena di grazia, che vola diritta al sentimento del divertimento, senza il bisogno di svelare il perché di quanto avviene che quindi accade quasi come per il tocco d’una bacchetta magica. Quella di Iosseliani è ad ogni modo un’ironia profonda e filosofica, pervasa anche da un senso di impotenza e malinconia dettata dalle contrapposizioni psicologiche e sociali dei personaggi che sono lavoratori e pasticcioni, ricchi e francescani, saggi ed ubriaconi, ladri e onesti… il tutto in un grande girotondo che non dà mai alla testa, che forse un po’ confonde, ma che sempre alla fine sazia e delizia.
Come faceva Luis Buñuel, Iosseliani prende di mira una famiglia borghesa sbeffeggiandola sia nei suoi riti – come le feste di vera e fasulla rappresentanza nelle quali un grosso uccello vaga fra gli ospiti con un aria molto più signorile degli umani, ma anche involontariamente stupefatta da quella natura così arteficiale che gli gironzola attorno – nella figura del figlio Nicolas – anima pura che vive senza scontri nella fastosa villa famigliare, ma non esita a gettare la sua identità sociale per ospitare barboni e svolgere i lavori più umili – e infine in quella del padre – interpretato proprio da Otar Iosseliani, che dall’alto dei suoi freschissimi sessantacinque anni, se ne infischia dell’etichetta e grazie alla sacrosanta collaborazione della bottiglia, tenta approcci con la cameriere, indispettisce la consorte, fugge verso il mare aperto in compagnia di un amico senza tetto conosciuto per caso e a lui subito accomunato dalla sfrenata passione per il nettare d’uva.
Probabilmente chi cerca una storia classicamente costruita potrà anche restare deluso, ma non è questo o comunque non è solo questo il lato più importante del film, bensì la grande capacità dimostrata nel saldare fra loro tante varie e piccole assurdità, mai cozzanti fra loro, mai eccessivamente o forzamente aggrovigliate, bensì sempre lievemente sussurrate a quello spettatore ispirato (quanto questo eccellente film) che sa beatamente lasciarsi cullare da tanta ilare e mesta ironia, che così facilmente e magistralmente sconfina nella più sincera e soave poesia.

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