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Giarrettiera Colt

Regia di Gian Rocco vedi scheda film

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La recensione su Giarrettiera Colt

di scapigliato
8 stelle

"Giarrettirea Colt" ovvero "La Libido nel West". Siamo nel 1968, l'anno de "Il Mercenario" e di "Tepepa". La Rivoluzione Messicana è stata al centro anche di altre pellicole dell'epoca, come "Faccia a Faccia" del '67 e soprattutto l'archetipo del tortilla-western: "Quien Sabe?". Ma tra loro si deve inserire necessariamente anche il film di Gian Rocco, che se non è un film confezionato ad hoc, è almeno un film dall'immaginario interessante. Infatti tutto il film è pervaso da tensioni libidinose che coinvolgono diversi personaggi della vicenda. Tra tutti se ne distingue maggiormente l'immenso Claudio Camaso nel ruolo del Rosso. Lascivo, animalesco e infantile, Camaso, al suo ultimo spaghetti-western, si muove nella storia come un animale, un bambino cresciuto tra gli animali, il cui atteggiamento belluino svela l'animalicità del sesso. In paesaggi maestosi nella loro povertà, il regista affonda l'occhio voyeuristico tipico del cinema in un genere, il western, che di solito s'arrende davanti ai misteri della passione erotica e li scansa, li aggira, li simula, li nasconde e cripta. Tralasciamo quelle sequenze fantasma che sappiamo essere state girate in certi film e che erano vere e proprie scene porno; occuppiamoci di ciò che esiste ed è visibile agli occhi dello spettatore e porta ugualmente un fascino erotico irresistibile. La scena in cui il Rosso spia la bamboleggiante Rosy amoreggiare con il soldato francese interpretato da Jasper Zola alla sua unica esperienza cinematografica, è una scena che, vuoi per l'ambientazione estraniante, stordente per la luce che riflette sulla salina, vuoi per l'impostazione della scena, molto surreale, anche felliniana direi, vuoi per la recitazione smisurata, non sopra le righe, ma addirittura fuori dalle righe di Camaso e compagni che sembrano bambini che giocano alla mamma e al papà disturbati dal maniaco, è una scena che risveglia un desiderio sessuale ancestrale che non sentiamo il bisogno di soddifare, ma che ci immerge sognanti in un altrove e un altrieri in cui i nostri sensi e le nostre turbe si annullano al piacere e alla pace dell'eiaculazione, anche solo immaginata.
Un film che vale una sola scena quindi, se non fosse che anche l'inizio mette il suo marchio "scorretto" al film facendo saltare i soldati francesi legati ai pali. Ma tutto è un po' giocato sul grottesco e sulla deformazione. Dal Maggiore interpretato da Walter Barnes in una bellissima caratterizzazione di un rivoluzionario messicano che quando spara non becca mai il bersaglio; a Pedro, il fratello del Rosso, un ragazzo dalle evidenti tensioni omosessuali; passando per i due bei morettoni che infiammano la passione delle signore del luogo: uno è la meteora Jasper Zola, l'altro è l'attore greco Yorgo Voyagis che simile al Musante de "Il Mercenario", è un doppiogiochista affascinante che sa davvero creare un perfetto erotismo intorno al suo personaggio. Sornione, irriverente, audace: il suo Carlos, con tanto di pappagallo sulla spalla (simbolo fallico l'uccello? Mah...), è l'anima erotica che seduce la bellissima, straordinaria Nicoletta Machiavelli, forse la più bella donna che abbia attraversato il West nella storia del cinema. In più non è solo bella, ma affascinante, seducente, disturbante in quei suoi vestiti scollati che lasciano vedere le forme di un corpo perfetto. Tra personaggi deformati e animalizzati (vedi il Rosso); tra paesaggi mozzafiato, ma anche evocativi di un non-luogo erotico, imprecisato ma individuabilissimo in ognuno di noi; tra i fuochi di una rivoluzione che resta sullo sfondo mentre i personaggi fanno sesso; tra il razzismo che serpeggia tra gli americani democratici e integri contro i sudici messicani rivoluzionari; tra tutte queste disparità e bizzarrie e scorrettezze il film di Gian Rocco si guadagna un posto d'onore nell'immaginario spaghetti.

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