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What's My Name: Muhammad Ali

Regia di Antoine Fuqua vedi scheda film

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La recensione su What's My Name: Muhammad Ali

di emil
9 stelle

Fuqua trova il giusto equilibrio fra agiografia e racconto appassionato. Il miglior documentario su Muhammad Alì

Dopo che Michael Mann ha messo la parola fine su qualsiasi altro tentativo di romanzare la vita di Muhammad Alì (Alì, 2000), ecco che arriva, dopo innumerevoli tentativi alcuni anche ben riusciti ((“Io son il più grande”, “Quando eravamo Re”, “I am Alì”), il documentario definitivo. Prodotto fra gli altri dalla stella dell’NBA Lebron James, nelle  mani di Antoine Fuqua , “What’s my name” diviene materiale totalizzante, un racconto fiume della parabola non solo sportiva ma soprattutto umana del più grande peso massimo di tutti i tempi, certamente il più noto ed amato dal grande pubblico di appassionati e non. Vedendo il documentario si capisce facilmente il perché: una personalità fortissima che emerge e va ben oltre quella dell’atleta (di per se già immensa). Una figura carismatica protagonista non solo di eventi sportivi di fama planetaria che lo fecero conoscere ed amare dentro e fuori dal ring (due su tutti, il "Rumble in the Jungle" nello Zaire contro Foreman e il "Thrilla in Manila" contro Frazier) ma anche un uomo che attraverso le proprie dichiarazioni spavalde e provocatorie (non venne mai rappresentato da nessun manager ) costruì senza filtri la propria identità divenendo icona culturale, e vero e proprio mito con il passare degli anni.

 

Alì, che cambiando nome si convertì all’Islam abbracciandone gli ideali. Alì , che rifiutò di andare in Vietnam e venne punito con la sottrazione del titolo mondiale e l’inattività per tre lunghi anni. Alì, che dedico gli anni dopo il ritiro  a numerose cause umanitarie, fino all’ineluttabile e triste epilogo (“ll tempo è venuto a prendermi” dirà a bordo ring alla fine dell’ultimo incontro).

 

Il documentario , partendo dagli esordi , prima ancora dell’oro olimpico di Roma nel 1960, raccoglie moltissimo materiale inedito, quasi sempre è Alì stesso a parlare guardando in camera, assecondato da una regia invisibile che assemblea con cura i momenti belli e quelli meno belli,  scandendone di fatto la vita.

Fuqua trova la formula vincente per realizzare un documentario di facile ed immediata  lettura, lasciando trasparire solo in minima parte la questione relativa all' integralismo razziale, tanto cara all'atleta.

Un opera completa e trascinante, capace di commuovere nell’emozionante finale in crescendo, un “must” imprescindibile per chiunque, in cui sport e poesia si fondono armoniosamente. Come disse il sindaco di Louisville, città dove nacque, il giorno del suo funerale: “Muhammad Alì appartiene al mondo”.

 

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