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Fort Washington - Vita da cani

Regia di Tim Hunter vedi scheda film

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John_Nada1975

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La recensione su Fort Washington - Vita da cani

di John_Nada1975
6 stelle

Jerry/Danny Glover(indicando un uomo d'affari che guarda dei libri ad una bancarella):-"Vedi quello, gli basta un pagamento che non arriva, per diventare come noi più veloce di quanto creda."

 

All'accettazione del Fort Washington Men's Shelter, il mega dormitorio di N.Y., con al polso un bell'orologio di pregio, Robert Beatty:- "Ero....un farmacista...alcune cose non mi sono andate bene."

Gran bel film senza stereotipi di droghe, alcool e crimine, ma solo del lavoro che non viene assicurato e del facilissimo fallimento in una spietata società capitalistica, e ciò che si cerca di non vedere e affrontare per primi da noi stessi, come detto dal personaggio di Glover "anche in un attimo puo accadere a chiunque, e dopo quello che hai è niente, quello che vedi", da sempre e per ovvi motivi dimenticato, se non addirittura perfino boicottato. Non si trova manco una locandina italiana, eppure uscì nei cinema italiani nel 1993, per gli attori, Matt Dillon e Danny Glover, all'epoca anche molto più di richiamo che adesso, e per la distribuzione CG.

Tim Hunter forse non a caso non ebbe poi assolutamente più le regie che avrebbe potuto avere, come in precedenza, e si rifugiò adeguatamente, quasi esclusivamente nelle serie tv. Tra gli ultimi ruoli davvero con un vero perché e un serio impegno per Danny Glover, ma è Matt Dillon ad essere davvero perfetto -premiato come Miglior attore al Stockholm Film Festival e dai Chicago Films Critics Association Awards, secondo classificato sempre quell'anno al Toronto International Film Festival- per questo tipo di ruolo e storie(come poi ripercorrerà pure nel bukowskiano e se vogliamo similare, "Factotum"), Matthew il giovane fotografo di talento e forse schizofrenico, forse con qualche trauma da cui deriva un certo ritardo emotivo/cognitivo. Che si ritrova per strada senza nemmeno rendersene conto della velocità, abbandonato dalla madre in vacanza in Florida, e che cambia la serratura del proprio appartamento. Sloggiato come intere famiglie dal palazzo popolare fatiscente del South Bronx in cui un infame proprietario opta per la demolizione  onde successiva speculazione edilizia, finita sulla prima pagina del New York Post. 

Erano infatti i primi '90 gli anni in cui si procedeva alla gentrificazione di quel famoso agglomerato di isolati del quartiere suddetto, che per il loro stato di abbandono e degrado da film postapocalittico, furono con le strade e i palazzi quasi diroccati, ambientazione negli anni '70 e '80 di decine di film e telefilm, persino italiani. Da "Agente 007- Vivi e lascia morire" a "Bronx, 41° Distretto Polizia", "Koyaanisqatsi", a "Wolfen- La Belva immortale", e "1990: I Guerrieri del Bronx" di Castellari.

Sottotitolo ita. che non c'entra nulla e si vuole ricollegare al titolo italiano del film di Mel Brooks, per il tema simile ma lì in chiave di commedia farsesca, qui proprio no. Qualche punto di contatto anche per la sequenza onirica nella campagna verde e la macchina familiare a raccogliere la frutta e la verdura, con il precedente e più famoso, film di Terry Gilliam.

Solo la colonna sonora di nientemeno che James Newton Howard, pur non essendo disprezzabile nella sua tromba jazzistica adatta alle strade e alle panchine di N.Y., non è però così incisiva come dovrebbe. 

Stupenda e tristissima, un gran pezzo di cinema e di Danny Glover,  la lunga sequenza in prefinale, del trasporto in ferryboat delle bare di legno grezzo dei cadaveri di bambini, ragazzi e adulti non reclamati da nessuno, per essere seppelliti in fosse comuni nel cimitero di Staten Island, e Jerry che ci sale sopra nascosto, per accompagnare da solo la sepoltura del suo amico.

Film che è tra i rari del cinema americano che guarda e senza i finti infingimenti hollywoodisti di altri, in "cattivo odore" di spettacolarizzazione divistica, la povertà e conseguente emarginazione, marginalità (nel solco di grandi opere precedenti come "Lo Spaventapasseri"(Scarecrow)(1973), di Jerry Schatzberg, o "Panico a Needle Park"(The Panic in Needle Park)(1971) sempre di Schatzberg), che dice e come spesso accade in questi casi, che sia patetico o eccedente in effetti strappalacrime e melodrammatici, non può essere che un solito insensibile e reazionario, che vota Meloni.

 

John Nada

 

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