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Il traditore

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Il traditore

di IlCinefilorosso
9 stelle

Coerentemente con l'approccio teorico del suo cinema, Bellocchio continua ad interrogarsi sulle potenzialità dell'immagine cinematografica, ragionando sul rapporto che intercorre tra essa e la realtà (sì, un po' come Bazin). Nel caso del Traditore, parte dal particolare e si estende al generale, in un rapporto di fusione tra corpo e cinema.

È sorprendente l'ultima opera di Bellocchio, si muove sui passi del neutralismo sovversivo (Bella Addormentata), discute il rapporto politica/ corpo/cinema (vincere), si approccia psicoanaliticamente all'uomo (Buongiorno, notte) e ripropone la riflessione sullo squilibrio del nucleo familiare (I pugni in tasca). L'indagine che il regista compie sul nostro paese parte proprio da quest'ultimo punto, la famiglia, che come già accadeva a fine anni 90' con il capolavoro di David Chase, I soprano, viene estrapolata dal proprio contesto per farsi portavoce di un discorso più amplio (L'Italia da una parte e l'America dall'altra). Il traditore ha una struttura quasi trasversale, non si muove mai in un'unica direzione e non acquisita mai una sola interpretazione, dalla decostruzione di un concetto come il tradimento, che attraverso le parole della sorella di Tommaso guadagna un senso arcaico ed ancestrale, ("lui è Giuda Iscariota"!) si passa ad una dimensione più attuale, culturale, che trova compimento negli spazi geometrici e serrati di quel teatro degli orrori che diviene (simbolicamente) l'aula del processo, dove i condannati, dimenandosi e sbraitando come demoni in cerca di un pertugio dal quale svincolare, denunciano quello che è a tutti gli effetti un passaggio di schieramento, il Buscetta servitore di cosa nostra che diviene, de facto, servitore dello stato. È un continuo scambio di senso quello operato da Bellocchio, che struttura il film in tre blocchi narrativi, a capo dei quali incastona le varie famiglie, quella siciliana, quella brasiliana ed infine "la famigghia" mafiosa, ed è proprio questo lavoro discorsivo a permettere una stratificazione interpretativa estremamente densa. L'antico testamento (la vecchia mafia) viene spazzato via da quello nuovo (Cosa Nostra, e qui si ritorna alla dimensione mitologica ed arcaica ragionata dall'autore), mentre i tempi (le attese) e gli spazi (la struttura di una delle prime inquadrature di gruppo del film) si assumono il compito di far da preludio alle vicende future dell'opera, specie attraverso impulsi di allontanamento (il mezzo primo piano di Buscetta che si stacca e diviene successivamente un campo totale, che riprende contemporaneamente vittime e carnefici). Una delle molte cose da notare nell'opera , è il particolare (virtuosistico ma cosciente) utilizzo del montaggio, che devia da un qualsiasi tipo di naturalismo per comprendere al suo interno elementi disomogenei ed extra-diegetici; queste scene estranee al tessuto narrativo principale, seguono concettualmente la lezione del cinema sovietico, e portano all'opera una valenza metaforica in relazione al contesto principale, così troviamo la tigre costretta in gabbia (Pippo Calò), la iena furba e scaltra pronta a divorare i cadaveri (Riina) e i topi stanati che scappano dal loro rifugio(il resto degli affiliati a cosa nostra). Lo sguardo, nel cinema di Bellocchio, ha da sempre avuto l'efficienza di predisporre e sucessivamente smascherare il macrocosmo, si tratta di una scelta ideologica che diviene conseguentemente modalità di visione. Il traditore ne è un esempio perfetto, al pari di tutti i suoi lavori precedenti, abbiamo infatti ricostruzioni storiche tramite recupero di materiali di repertorio, abbiamo una componente onirica (le visioni del protagonista) ed una mediatica, con la televisione che diviene quasi un necrologio (la morte di Falcone, quella di Schifani). Forse l'unica differenza sostanziale rispetto ai film precedenti può essere riscontrata nell'intersecarsi delle tre modalità di sguardo, che travalicano le tortuosità delle riflessioni linguistiche tipiche del suo cinema per scolpire il ritratto di un uomo d'onore. Ciònonostante, il lato teorico del cinema bellocchiano non cessa di mostrarsi, e lo fa attraverso una riflessione ontologica che trasferisce la realtà all'interno della macchina cinema, permettendole di acquisire, all'interno di quello specifico contesto, un nuovo respiro. I membri di cosa nostra vengono spesso ripresi in immagini televisive o attraverso delle plongèe, nelle loro piccole celle, girando in loop su se stessi, come animali catturati e tenuti prigionieri fuori dal loro habitat naturale, in preda a crisi di nervi, a pianti e urla sfrenate, totalmente delocalizzati, privi di luogo. La funzione del corpo viene ribaltata, e proprio come accadeva in Bella addormentata, esso non è più oggetto donato in sacrificio alla macchina da presa, la quale era il veicolo che ne permetteva la materializzazione sullo schermo, ma è il luogo all'interno del quale le immagini vengono proiettate, ed è attraverso questo conglobamento che il potere si manifesta e si deturpa, è il connubio paradossale tra un corpo che non può vivere senza immagini e immagini che non vivono senza corpi su cui proiettarsi. Per Bellocchio il potere ha sempre avuto bisogno dello spettacolo per potersi palesare, ed è seguendo questa suo pensiero che il senso della messa in scena del traditore acquista una chiarezza decisiva, il film è un unico e grande palcoscenico teatrale dove la mitologia del potere prende vita, attraverso luci accecanti, continui flash fotografici e barocchismi estetici più o meno marcati, e in questo, è quanto di più distante possa esistere dal capolavoro sorrentiniano "Il divo" (che verteva più su un lavoro di parodizzazione e derisione tragicomica). Bellocchio costruisce quindi una sorta di show circense dove passa al vaglio i problemi di un intero paese, dapprima attraverso una ri-edificazione accurata degli eventi, privando il discorso di un qualsiasi tipo di esagerazione o revisione, e discostandosi dalle esaltazioni in cui si può incappare quando si affronta questo genere di opera, e secondariamente impostando questo stesso discorso attraverso un'indagine più intensa e travisata, (come espresso all'inizio dell'analisi, vedasi le visioni del protagonista o l'utilizzo del montaggio). Ne risulta quindi uno scorcio mutevole che è anche rappresentazione drammatica di un popolo, frammentato nella struttura, spesso ellittico, con momenti dilatati e altri ristretti, contornati da costanti immagini di repertorio che donano senso ulteriore alla narrazione, costituendone e de-stituendone il procedere. Tra l'allucinato e il fattuale, l'emozionante ed il barbaro, il processuale e lo spirituale, Il traditore cammina su sentieri che si separano e si incrociano continuamente, evidenziando continui segni opposti e sfruttandone appieno le potenzialità di unione. È il cinema di un regista che si conferma una delle voci più importanti dell'attuale panorama italiano.

 

Voto 9

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