Regia di Amir Naderi vedi scheda film
Fra i pedinamenti rosselliniani (fondamento di tutta la "new wave" iraniana, da Kiarostami in giù) e la natura violenta di Flaherty, un film che, al di là della monotonia di alcuni passaggi, ha il pregio di trasfigurare la materia documentaristica portandola ad un livello di iperrealismo visionario, che non "estetizza" certo le fatiche della lotta per la sopravvivenza, ma piuttosto le carica di una sobra poesia che non cede mai al poeticismo, ricorrendo talora ad un asciutto simbolismo. Anche se meno teorico, concettuale e geometrico dei film di Kiarostami e Panahi, quest'opera di Naderi precorre semmai l'ispida ricerca visiva di Ghobadi ("Il tempo dei cavalli ubriachi") e conferma la fecondità di un approccio stilistico basato sulla compenetrazione di documento e finzione, così come di realismo e metafora. Difficile dimenticare quei vasi di creta essicati al sole e al vento, divenuti quasi un tutt'uno con la terra bruciata, oramai inutili all'uomo, completamente reificati...
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