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Bitter Money

Regia di Wang Bing vedi scheda film

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La recensione su Bitter Money

di EightAndHalf
10 stelle

"ll sale sa di sale ovunque. Il lavoro sa di lavoro ovunque."

Tre giovani lasciano lo Yunnan, la regione-feticcio della filmografia di Wang Bing, per trasferirsi in una città della Cina orientale e lavorare. Una ragazza cerca di chiedere i soldi al marito con cui ha litigato. Il marito tiene un negozio che fra le altre cose vende il materiale di una piccolissima fabbrica tessile nelle vicinanze. Lì circa 8 lavoratori sottopagati passano la loro giornata ad eludere l'alienazione quotidiana con la musica e le chiacchierate, a lamentarsi della magra retribuzione e delle sollecitazioni da parte del padrone a fare sempre di più, e infine a ubriacarsi e/o cercare di riposarsi con la netta sensazione che niente migliorerà. 

Ku Qian è un nuovo esperimento del regista cinese, un esperimento strutturato ma per nulla programmato, uno dei quei documentari necessari ma imprevedibili come può esserlo stato Anna di Grifi e Sarchielli nell'Italia degli anni '70. Un documentario imprevisto, un documentario scolpito dalla realtà

 

scena

Bitter Money (2016): scena

 

Benché sia Wang stesso a definire Ku Qian un racconto incentrato su tre giovani con buone e illusorie speranze, il film, che è probabilmente ricavato da molto più di due ore e mezzo di girato, è in realtà una splendida, imprecisa ronde ophulsiana, in cui si passa da un personaggio all'altro con un'unica soluzione di continuità, il caso. Sempre sorprendente, vero regista dell'azione. Pur dividendo il film in brevi episodi tramite ellissi, che non dànno una precisissima idea di quanto tempo si trascorre nel film (così com'è sempre stato nell'opera di Wang), la sensazione finale è quella di aver viaggiato da una vita all'altra, con accuratezza e delicatezza, ma anche con veemenza e genuina indignazione. Wang ha la mano decisa ma meno vigorosa delle volte precedenti, quasi più debole e succube di ciò che racconta. Le inquadrature però mantengono sempre quella disperazione - totalmente improvvisata al momento - che nessun'altro mago della cinepresa sarebbe in grado di riprodurre dal nulla. Direbbe Wang che è la vita ad essere una landa desolata dovunque si guardi. Infatti le inquadrature, apparentemente casuali, in realtà cercano il più delle volte di incorniciare il protagonista a figura intera, oppure nel dettaglio dell'azione che sta compiendo. Ancor più veemente è la mano di Wang nei suoi pedinamenti; sentiamo il suo respiro affannoso che scandisce il ritmo della camminata, vediamo l'obbiettivo sporco di polvere.

 

scena

Bitter Money (2016): scena

 

Sono però piccoli indizi, probabilmente frutto di una scelta di post-produzione, a rendere Bitter Money un caso unico nella filmografia del regista (e volendo, del cinema intero). Se fino a Feng Ai (2013) ha sempre prediletto restare fuori dalle azioni, seppur immerso nelle stesse, senza intervenire né far sentire la sua presenza, in Bitter Money (2016) (che viene comunque dopo altre tre opere circolate pochissimo negli ultimi anni) la presenza di Wang si fa pesante, invadente, ha un volume, che è tutto a carico della cinepresa. Stavolta vediamo Wang correre, Wang stancarsi, Wang fermo in piedi accanto ai lavoratori che giocano a dadi. Non lo vediamo, di fatto, ma vediamo parti del suo corpo, sentiamo come maneggia con la videocamera, sentiamo la sua voce. Questa partecipazione non è la rinuncia a un rigore che ha reso la sua filmografia un capolavoro dall'inizio alla fine, ma è il superamento di questo rigore. Se ogni film del regista cinese si presentava come esperienza diretta e inequivocabile, qui la presenza di Wang rende paradossalmente l'esperienza ancora più totale. Riuscendo a percepire la presenza di Wang, è come se riuscissimo cubisticamente a vedere e sentire più piani fisici della realtà, come in una panoramica a 360°. Ci sentiamo finalmente nei luoghi, e niente, neanche il rigore formale, neanche l'apparente silenzio, può allontanarcene. Commoventi in tal senso gli interventi di due dei personaggi principali, che si rivolgono direttamente a Wang. Uno, il primo, la ragazza sposata, dopo una lunga telefonata guarda in camera e dice "Vieni con me", e Wang si lancia all'inseguimento. L'altro, alla fine, uno degli uomini dell'officina tessile, dichiara a Wang: "E' ora di dormire, filmerai domani". Mettere in scena ed esplicitare il quieto accordo fra le persone e Wang permette una rilettura di tutto il suo cinema: il gesto filmico, immerso nel putrido reale, nasce dalla sentita fiducia che le persone riprese da Wang ripongono nel regista stesso. Questo dovrebbe comportare di riflesso la nostra totale fiducia nel Cinema. E la rappresentazione nel film di questo rapporto (di Wang con le persone, di Wang con le immagini) racconta del peso della responsabilità che Wang avverte sulle sue spalle. Bitter Money è dunque il più antispettacolare ma anche il più infervorato dei film di Wang Bing; è il documentario sulla presenza di Wang Bing stesso. Non fatto di situazioni, ma del movimento della cinepresa, dei riflessi involontari di Wang nelle vetrate, del suo fiatone.

 

scena

Bitter Money (2016): scena

 

Si diceva dell'intervento in post-produzione. E' chiaro che il quieto accordo fra soggetti e regista è sempre stato presente, nel cinema di Wang. Ma la sua esplicitazione in Bitter Money è conseguenza diretta di una scelta autoriflessiva da parte del regista, l'inclusione inaspettata di una presa di posizione estetica sempre esclusa e boicottata. Fin da Tie Xi Qu, Wang Bing è stato invisibile: braccio meccanico in una piattaforma petrolifera in Crude Oil; scodella fra le scodelle in Tie Xi Qu; quasi un soprammobile in He Fengming

Inoltre, così come in Feng Ai valeva la legge dell'unità di luogo, in quel caso il manicomio infernale, in Bitter Money vale il girotondo dentro la piccolissima officina tessile. Nonostante il film parta e finisca fuori dall'officina, è soprattutto dentro di essa che si consumano i piccoli drammi reali della gente. Wang fa sì che siano i personaggi al momento a raccontare le loro storie: con la cinepresa penetra nelle logiche dei loro discorsi, li contempla assiduamente in azioni del tutto inoffensive (una ragazza a un certo punto scambia con la madre dei messaggi vocali su whatsapp), li riprende riprendendo sempre se stesso e la sua disperazione. 

 

'Vagare' è diventato il tema principale nell'opinione del cinese di oggi. Ho usato cambi di focale, mi sono spostato da un soggetto a un altro con un vacillamento costante della macchina da presa e dei personaggi, per poterne raccontare le storie" [Wang Bing]

 

scena

Bitter Money (2016): scena

 

Alla ronde già citata si sovrappone poi un altro ordine del racconto, quello della catena di montaggio. I sogni dei personaggi lentamente diventano e si trasformano nei lavori finiti dell'officina, impacchettati per essere spediti, magari in occidente, sotto una pioggia torrentizia. E' una brutality factory, quella di Bitter Money; è l'implosione di Tie Xi Qu; è la discesa infernale di Coal, Money. Solo che qui le brutture quotidiane umane deformano la catena di montaggio, ne mostrano la crudeltà e la capacità di sopraffazione. E il film umilmente si fa avvolgere da questa spirale di assoluta mestizia.

Il capolavoro di Wang Bing e il capolavoro della 73a edizione del Festival del Cinema di Venezia. Bello da far piangere.

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