Espandi menu
cerca
Oasis: Supersonic

Regia di Mat Whitecross vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Davide Schiavoni

Davide Schiavoni

Iscritto dal 10 dicembre 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 2
  • Post -
  • Recensioni 70
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Oasis: Supersonic

di Davide Schiavoni
8 stelle

 

Tra il '94 e il '95 i Gallagher goderono d'una prodigiosa fecondità artistica: Noel componev'alla chitarra le sue migliori canzoni quand'erano già in studio e durante le pause del resto della band, mentre Liam imparava dal fratello le melodie al prim'ascolto ed era già pronto ad andar'in sala per registrarne la versione definitiva. I primi che s'accorsero della natura magica di quest'esperienza furono loro stessi, e con la profondità d'un fenomenologo delle religioni quale Rudolf Otto: oltre a cotanta fanìa "numinosa-misteriosa", colsero pur'il sovrastare del "tremendum" sul "fascinans". Non si fecer'ingannare da intese telepatiche, ispirazioni miracolose, incontri e coincidenze straordinarie (a es. quella con Alan McGee, il proprietario della "Creation", all'epoca la miglior etichetta discografica inglese). Furon'anche sempre consapevoli della transitorietà del loro successo proprio poiché ciò che di buono e di bello gli capitava era palesemente, sfacciatamente, spudoratamente al di fuori d'ogni umana forma di controllo o gestione. L'eccezionale pregio del lungometraggio di Whitecross consiste nell'aver colto e catturato tutt'i singoli attimi di tale vicenda, ch'il duo di Manchester non esita a definire "biblica", dall'incipit d'"Abele e Cabele" ("Abel and Cable") all'epilogo sul fatuo svanire del luccichio dei fuochi d'artificio. La tragica coscienza del "sic transit gloria mundi" è espressa pure nei titoli dati agl'album d'esordio, "Definitely Maybe" e "(What's the Story) Morning Glory?": si lambisce una condizione pseudodivina giusto quel tanto per poi risprofondare nella miseria quotidian'a una velocità ancor più "supersonica". Liam parla degl'Oasis alla stregua d'un gruppo di "bastardi", ma la bastardaggine, prim'ancora che com'epiteto dispregiativo, andrebb'intesa come quel randagismo esistenziale denunciato dalla filosofia cinica fino a Heidegger e dalla chiusa kafkiana de "Il processo" fin'al Jim Morrison di "Riders on the Storm", il nostro essere can'in perenn'agonia a causa d'un qualcosa di basilare ch'ancora ci viene negato. Inevitabile il raffronto col documentario sui Police firmato da Grieve: stess'incroci straordinari (cfr. "Synchronicity"), stess'esito crocifiggente, anche se nel biopic di Grieve manca l'essenza del film di Whitecross, l'immediata autoconsapevolezza del proprio martirizzante destino. In quell'arco di tempo trionfale sol'in apparenza, uno della band ebb'un esaurimento nervoso e un altro dovette smettere poiché stava perdendo l'udito: apodittica testimonianza dell'illusorietà di presunte “Oasi" di pace non inclusive né tantomeno definitive. Sicché, allo stato delle cose, "no way out": no "Gimme Shelter" from the "Helter Skelter".

 

In collaborazione con M. Lanari

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati