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Non c'è più religione

Regia di Luca Miniero vedi scheda film

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La recensione su Non c'è più religione

di MarioC
4 stelle

La banalità e la forza della reiterazione. Modifichiamo l’ordine dei fattori senza cambiare il prodotto, moltiplichiamo all’infinito la capacità evocativa di un fondale, di un luogo assolato, riproponiamo l’interazione tra comunità che si scontrano e si sciolgono in finale abbraccio liberatorio, pedaggio ovvio alla filosofia onnivora del tarallucci e vino. Ecco servito questo Non c’è più religione, copia sbiadita e stanca delle giostre tra uomini e buratti di Nord e Sud che qui diventano, con sovrumano sforzo di fantasia, cattolici e musulmani. Anzi, per rendere pepata una scrittura che sembra fagocitare se stessa, nonché ingoiarsi e digerirsi male, cattolici veri e musulmani finti, cristiani ingrassati e arabi in gran forma, fino alla storia d’amore multietnica, con finale e agnostica benedizione di papà e sorella monaca già in passato contesa sentimentalmente tra due religioni e che alla fine sceglie il terzo che gode: Gesù (certo che tu hai scelto l’uomo perfetto dice il cattolico).

 

Castellabate, Milano, Tremiti. Il cerchio della ronda cartolinesca si chiude, con ovvia asma e precoci segni di invecchiamento. Un cinema che sbandiera carineria, innocuo quanto una meringa insapore, che rinuncia alla volgarità sotto il segno della banale rifrittura tematica, che incastra le proprie tesi in una costruzione da Lego di provincia. Personaggi ed interpreti: un sindaco piovuto dal Nord non si sa bene come, quando e perché, un presepe vivente con figurine ansiogene (la Madonna in stand-by, il Bambinello obeso – un colpo di sciabola, uno di fioretto alle problematiche su alimentazione e calo della natalità, tiè-), la suora factotum (anch’ella palesemente del Nord, ma cosa volete che sia la leggerissima sospensione dell’incredulità? E poi i preti – e le suore – operai sono per definizione globetrotters della catechesi) che organizza, dispone, salda, si fa territorio cuscinetto (una specie di donna Lussemburgo, viene da dire) nelle schermaglie tra diverse religioni ed antipodici stili di vita. E poi: una comunità musulmana, rappresentata come iconografia vuole, un abbozzo di Ramadan imposto a tutti per superiori ragioni organizzative, un bambinello arabo che sta per nascere in prossimità dell’evento natalizio, l’iniziale scandalo dei benpensanti (un po’ frollati e in età, bisogna ammettere), un prete che indossa lentine colorate e media, un altro pargoletto piovuto dal cielo dell’amore misto e che rappresenta un efficiente punto di mediazione, tale da consentire al film di sguainare finalmente la morale consolatoria e conciliatoria. Soprattutto: un arabo finto (Marietto, casertano e levantino, con mamma preoccupata e rassegnata), sole, cuore, amore, benvenuti al Luna Park dello Zucchero Filante.

 

Gli attori si impegnano, non si esclude né si contesta la professionalità, ma il rischio di diventare preda della maschera cui si ebbe la ventura di prestare voce e volto è più che fondato. Bisio: tutto d’un pezzo ma anche no, razionale con imprevisti slanci di sentimento, un po’ naif ed imbranato, un po’ pianificatore nordico. La Finocchiaro: verve ben spesa, mille lavori a bersaglio, senso comune, grande cuore, vista lunga. Gassmann: adorabile paraculo, faccia da schiaffi e da baci, cuore (ma va?) pronto all’apertura, simpatica guasconeria sostanzialmente inoffensiva. Non c’è più religione appartiene al novero dei film di cui si ricorda con difficoltà il finale. Forse perché, film-falena, nascono con il peccato originale della finitezza.

 

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