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Regia di Marta Hernaiz Pidal vedi scheda film

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La recensione su Fine

di OGM
7 stelle

La nostra casa è dove decidiamo di stare. A da dove siamo liberi di ripartire. Al momento giusto.

Bene. Io non mi schiodo da qui. Una donna rimane seduta sul marciapiede, davanti all’ingresso di un caseggiato. Vive sotto le finestre di una signora di mezz’età, che non ne sopporta la presenza. La considera un elemento di disturbo, al pari dei segnacci dei writers che hanno imbrattato le vetrate del portone. Ma non c’è verso di cacciarla. È una presenza tenace ed impassibile, che resiste a tutto, soprattutto alla monotonia e all’insofferenza altrui. Nulla può essere peggio della miseria. E nulla meglio della libertà assoluta, quella di essere, semplicemente, di vivere come una persona che occupa il suolo e la visuale altrui, che si accontenta di rivendicare, in questo modo, il proprio diritto ad esistere, fuori da ogni schema di comportamento, da ogni programma per la giornata. Chi la guarda, con indifferenza oppure con fastidio, non si rende conto che lei, quella sagoma fissa al centro del paesaggio, è il dipinto, mentre il mondo intorno, con i suoi abitanti inquieti, è solo la movimentata cornice del suo nobilissimo ritratto, composto ed austero, fiero ed irremovibile. Sono gli altri, che vanno avanti e indietro, che trafficano e non trovano mai pace, i veri senza fissa dimora. Lei una casa ce l’ha, e la custodisce gelosamente: è l’angolo di terra in cui trascorre tranquillamente il tempo, senza provare alcun disagio, come dentro una nicchia costruita su misura, che è, contemporaneamente, la vetrina in cui si mette in mostra. Una santa nell’edicola. Una certezza serafica e scultorea che ci aspetta, immancabilmente, alla svolta del cammino. Eterna nella sua ripetitiva,  laconica inutilità. Pronta a sparire - come un angelo a missione compiuta - non appena qualcuno ne smaschera la comune, ed umanissima, anima di carne. 

 

scena

Fine (2016): scena

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