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Brazil

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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La recensione su Brazil

di OGM
8 stelle

Al di là di un certo limite, la tecnologia è incompatibile con la libertà, ma non soltanto perché provoca dipendenza ed invasione della privacy. I sogni di Sam Lowry, immerso nella fosca civiltà meccanica ed informatizzata di un immaginario futuro, sono rimasti l’ultimo rifugio del mito, ossia di quella innata necessità di credere all’impossibile ed abbandonarsi al fascino dell’imprevedibile. La vita non è più umana se perde il carattere dell’avventura, in cui l’individuo, armato solo delle proprie forze, può scegliere, di volta in volta, se essere pavido oppure eroico, se desistere o lottare.  Sam, nelle sue fantasie, vola come un angelo, combatte come un cavaliere, risplende come un principe, sottraendosi, in ogni caso, ai vincoli istituzionali di un sistema improntato all’organizzazione capillare ed al controllo globale, in cui la chirurgia plastica ed i matrimoni combinati contribuiscono in ugual misura ad impedire che la natura segua il suo corso. Sullo sfondo, le esplosioni degli attentati dinamitardi, compiuti da un misterioso gruppo eversivo, sembrano un estremo, disperato sfogo di spontaneità, che usa il mezzo dell’improvvisa distruzione per infrangere gli schemi e ripristinare, in un mondo eccessivamente programmato, una sana e genuina forma di incertezza.  Le note di Brazil sono il più calzante commento musicale al placido idealismo del protagonista, che insegue timidamente l’amore anziché rincorrere sfacciatamente la carriera: il samba ha il ritmo della lentezza pacifica e dell’ondeggiamento conciliante, che esorcizzano l’ansia e la frenesia, ed insegnano una pazienza speranzosa, però serenamente preparata al peggio. E’ questo contrappunto sorridente a mantenere il tono della storia al di sopra delle cupe atmosfere orwelliane, distaccandolo all’austero pessimismo apocalittico di 1984 ed inclinandolo verso una consolante e temperata autoironia. Lo spettro di Metropolis sorvola la scena, però da lontano, perché oramai l’inganno è svelato, il potere traballa, e l’apparato è scricchiolante e mezzo arrugginito. Non c’è più, all’orizzonte, un traguardo di progresso da raggiungere, ma solo un catastrofico caos da scongiurare. Nemmeno la retorica può più tenere insieme un impianto sfilacciato ed obsoleto, nei cui angoli bui si annidano lo squallore, l’indifferenza o la violenza terroristica. Brazil prefigura l’estrema, rovinosa degenerazione dell’era post-moderna: da un lato la caduta delle religioni e delle ideologie, dall’altro una globalizzazione antistorica e livellatrice, danno vita ad una società oppressiva e a senso unico in cui nessuno crede più a nulla, eppure non si è liberi di esprimersi. Un inferno da cui ci si può estraniare solamente abbandonandosi  al disordine del nonsense,  o all’irrazionalità del sentimento. 

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