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Un chien andalou

Regia di Luis Buñuel, Salvador Dalì vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Un chien andalou

di laulilla
10 stelle

Ho ricavato le informazioni che precedono questa recensione da I miei sospiri estremi, il libro delle memorie ultime di Buñuel, imprescindibile per la comprensione del film. Le parole e le frasi fra virgolette sono le citazioni testuali, a mio giudizio opportune.

Da lui stesso prodotto con il denaro che gli fu inviato dalla madre. è un “corto” di 16 minuti, scritto insieme a Salvador Dalì e “nato dall’incontro di due sogni”, secondo la ricostruzione dello stesso regista.

 

Come nacque il film

 

Ospite nella casa catalana del pittore, Buñuel aveva un mattino raccontato all’amico lo strano sogno della notte: una nuvola scura tagliava, come una lama affilata, la luminosissima luna che, come spesso accade nei sogni, si trasformava in altro: un occhio umano tagliato da un rasoio.
Dalì gli aveva allora confidato che il giorno prima anche lui si era destato dopo uno strano sogno: la visione di una mano piena di formiche…

 

Era stata del pittore l’idea di riunire in un film i due sogni, dettando lui stesso le regole a cui entrambi si sarebbero attenuti:
– il rifiuto di cercare ogni interpretazione psicologica o razionale dei due sogni;
– l’associazione libera di immagini che richiamassero, senza schemi precostituiti, le rispettive esperienze oniriche;
– l’abbandono concorde e non discutibile delle associazioni che non li convincessero.

 

Ne risultò, dopo una settimana di lavoro, uno “script”.

Per farne un film occorrevano, tuttavia, i soldi con cui pagare il personale coinvolto nel tournage (operatore, attori e operai), nonché i locali per le riprese.
Buñuel, forte di qualche precedente esperienza (e di qualche conoscenza tecnica) nel mondo del cinema, che molto l’affascinava, se ne incaricò, trovando infine, oltre ai soldi, l’operatore-scenografo (Albert Duverger), gli attori (Simone Mareuil, Pierre Batcheff) e i locali per il tournage (i teatri di posa di Billancourt).

 

Egli stesso assunse il ruolo di attore all’inizio del film, mentre Dalì era intervenuto pochi “giorni prima dell’ultimo ciack”, occupandosi ” di versare la pece negli occhi delle teste d’asino precedentemente impagliate”.
Durante il montaggio definitivo venne tagliata “non ricordo più per quale motivo” l’unica scena in cui aveva affiancato Pierre Batcheff nel ruolo di uno dei due frati maristi.


Si trattava, ora, di far conoscere il film.

Dalì in questo caso fu decisivo: fu lui a presentare al regista Man Ray, che incuriosito volle vedere il film insieme a Luis Aragon, col quale decise che il film meritasse una pubblica uscita.

 

 

 

 

 

 

Terminato nel 1929, il film appare subito come un importante tentativo di tradurre per il cinema il Primo Manifesto Surrealista di André Bréton, cinque anni dopo la sua pubblicazione.

E’ preceduto dal prologo, celeberrimo e choccante, nel quale è lo stesso Buñuel che affila il rasoio da barbiere col quale taglierà orizzontalmente l’occhio di una donna (in verità era l'occhio di un vitello macellato), metafora della necessità, per gli spettatori, di ampliare la visione della realtà, arricchendola delle scoperte dell’inconscio: la realtà, da sempre celata e repressa, delle pulsioni, dei desideri sessuali e degli istinti, che continuamente viene rimossa.

Al prologo fa seguito la seconda parte della pellicola che contiene una serie di invenzioni, riprese più volte dallo stesso Buñuel nelle opere successive, che rappresentano le associazioni mentali e oniriche, intorno al tema centrale di questo breve film, che personalmente mi pare giusto individuare nel sorgere e nello svilupparsi dell’identità sessuale del protagonista: un giovane ciclista che percorre le vie di Parigi in buffi abiti femminili, portando al collo una misteriosa scatola di legno (!).

 

La caduta del ragazzo può forse essere considerata il corrispettivo del taglio dell’occhio poiché è la condizione grazie alla quale egli potrà scoprire, nella stanza in cui una giovane donna lo accoglie, la sua appartenenza al mondo maschile, e il desiderio sessuale, variamente ostacolato. Si oppongono, infatti, alla realizzazione di un rapporto amoroso con lei diversi impedimenti, rappresentati simbolicamente dal giogo a cui il ragazzo è sottomesso e dal quale cerca di liberarsi.

Mi pare significativo che gli ostacoli al realizzarsi del desiderio posseggano connotati più o meno esplicitamente religiosi: due frati sono legati al giogo che egli deve trascinare, mentre la racchetta, che la donna brandisce, dopo averla staccata dal muro, richiama la forma di una croce.
Il regista, però, ci dice che attraverso un faticoso percorso di conoscenza (due libri si trasformano in pistole, diventando armi simboliche con cui comprendere il mondo) é possibile impadronirci della nostra vera natura, uccidendo - metaforicamente - ciò che siamo stati, e accettandoci per quello che siamo, cioè riconoscendo nostri anche gli aspetti che nella considerazione generale vengono ritenuti più vergognosi e perciò celati e rimossi (tutto ciò che ci ricorda la nostra origine animale, rappresentato dagli insetti, dai peli della barba e delle ascelle, dal riccio: immagini che si susseguono per richiami analogici).

Fra i tabù, la morte è quello che maggiormente fatichiamo ad accettare: per questo nel film trovano spazio alcune immagini che esplicitamente la evocano: quella degli animali morti e in via di corruzione - anch'essi appesantiscono il giogo da trascinare - nonché quella finale dei due innamorati che, al termine della loro storia, in primavera - nella stagione che, secondo il luogo comune, prelude alla rinascita - si mostrano per ciò che sono diventati: sorta di mummie, sepolte nella sabbia e circondati da insetti.

 

La sonorizzazione musicale del film* fu aggiunta nel 1960, su indicazione del regista che aveva accompagnato la prima proiezione pubblica  del 1929 - "organizzata con inviti, a pagamento" - del film azionando, dietro le quinte, un grammofono con le musiche wagneriane dal Tristano, alternandole a tanghi argentini.

Il pubblico comprendeva, oltre all'intero gruppo dei surrealisti (André Bréton, Max Ernst, Man Ray, TristanTzara, Paul Eluard...), Picasso, Le Courbusier, Cocteau...

 

*Il film è muto.

 

 

______

Con questa mia recensione  ho integrato e  parzialmente modificato per questo sito quella che avevo pubblicato su Mymovies il 2 gennaio 2011.

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