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Lo sbarco di Anzio

Regia di Duilio Coletti, Edward Dmytryk vedi scheda film

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La recensione su Lo sbarco di Anzio

di giurista81
5 stelle

Film fortemente voluto da Dino De Laurentis, distribuito sul mercato americano col titolo Anzio. De Laurentis inizia qua a sperimentare quello che si rivelerà essere un suo cruccio, ossia realizzare film coinvolgendo in Italia registi americani. Proseguirà in questo suo intento soprattutto nel cinema western, basti pensare a Sledge (1970), La Spina Dorsale del Diavolo (1971) e Valdez Il Mezzosangue (1973).

Per l'occasione viene portato a lavorare in Italia Edward Dmytryk, con all'attivo nel genere pellicole quali Gli Eroi del Pacifico (1945) e I Giovani Leoni (1958) oltre che il western culto Ultima Notte a Warlock (1959) con Henry Fonda e Anthony Queen. Il nome di Dmytryk viene scelto per rendere più appetibile, sotto il profilo commerciale, l'operazione, tanto che De Laurentis associa al regista l'esperto factotum Dino Coletti (secondo molti il vero regista del film). Nomi dunque di lungo corso che determinano uno stile legato agli stilemi americani, piuttosto che italiani, caratterizzati da un ritmo crescente e una prima parte di film piuttosto soporifera (si spara nel secondo tempo). Per fortuna nella seconda parte le cose cambiano. Dmytryk dispone di scenografie molto convincenti (del cinque volte Nastro d'Argento Luigi Scaccianoce), tra i quali profili di paesi distrutti e diverse case diroccate, all'interno delle quali si celano donne e locali assai ben disposti verso gli americani. Siamo alle porte di Roma e gli americani, rappresentati un po' faciloni (con prostitute al seguito e generosi verso le stesse elargendo doni e rotoli di dollari) e non certo immuni da errori strategici, lottano per espugnare un nemico subdolo e alquanto furbo, che offre l'idea di essere in ritirata salvo aver allestito trappole nella campagna laziale e aver riorganizzato un campo di battaglia rastrellando i civili per la realizzazione delle infrastrutture. Un manipolo di uomini, tra cui il protagonista Robert Mitchum, Peter Falk (il famoso Tenente Colombo della serie televisiva), Mark Damon (volto notissimo agli amanti di spaghetti western) e un giovanissimo Giancarlo Giannini, si trovano a vagare quali unici superstiti di un attacco di fanteria andato male. Dovranno vedersela contro i panzer nemici, lanciafiamme, campi minati, aerei e cecchini. Avventure che li decimeranno ulteriormente. Crudele la morte di Mark Damon, ucciso a sangue freddo dai tedeschi perché, una volta fatto prigioniero e aver subito il furto di oggetti personali e denaro, non tollera di veder gettata nel fango e calpestata la foto del figlio. Grandguignolesca, in modo sorprendente per l'epoca, la morte di Falk.

Discreto impegno nella sceneggiatura, sia sul versante legato alla ricostruzione storica (si veda i troppi tentennamenti del generale incaricato di guidare l'attacco, che costeranno allo stesso il posto per la capacità tedesca di organizzare una valida resistenza) sia su quello relativo alla caratterizzazione dei personaggi. Non di poco conto sono i tentativi di scandagliare la psicologia umana. H.A.L. Craig, che firma la sceneggiatura (adattamento di un romanzo di Wynford W. Thomas), cerca, attraverso l'indagine del corrispondente dal fronte interpretato da Mitchum, di approfondire i meccanismi mentali e filosofici che regolano la mente di alcuni uomini. Così abbiamo degli individui che ben potrebbero starsene a casa, o perché riformati o perché non chiamati alle armi, che preferiscono stare al fronte perché solo lì si sentono vivi. Bella la considerazione finale attraverso la quale Mitchum risolve il suo quesito sul perché gli uomini uccidano i loro simili. Niente a che vedere con la sopravvivenza, una considerazione meramente incidentale e subordinata. Il pessimismo di Mitchum, di matrice hobbesiana, lo porta a concludere che "all'uomo piace uccidere" perché nell'attimo in cui si trova a premere il grilletto, sospeso tra vita e morte, percepisce sempre più il mistero dell'esistenza e questo lo lega sempre più alla vita.

Dunque un egregio war movie, che risente degli oltre cinquanta anni di vita ma che per l'epoca riesce a distinguersi su più versanti. Non straordinaria la colonna sonora di Riz Ortolani. Il pluripremiato Giuseppe Rotunno, qua non proprio eccelso (si veda le sequenze ambientate di notte che sono palesemente girate di giorno), firma la fotografia.

 

 

 

 

 

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