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Gabriele Salvatores

Italy in a Day - Un giorno da italiani (2014): Gabriele Salvatores

Io e Salvatores siamo cresciuti insieme. Ok, non proprio a dir la verità. Ha 15 anni più di me e l'ho visto a tu per tu giusto un paio di volte, credo, a delle feste con tutti quelli della sua gang di allora (e penso ancora di oggi). Però conosco il suo mondo, è anche stato il mio. Conosco la Milano degli anni '80 e '90. Quando uscì Marrakech Express, nel 1989, avevo 25 anni. E i miei amici (ma forse gli amici di tutti: in questo sicuramente uno dei motivi di successo) erano un po' come i suoi. Due anni dopo arrivò Mediterraneo: lo vedemmo tutti, e vinse l'Oscar. Oggi quelle pellicole, che mi sembravano allora anche suggestive e di certo divertenti, mi sembrano datatissime e sgonfie. Mi resta il ricordo del piacere di allora, però: e sarebbe da bugiardi tradirlo o rinnegarlo.

Poi vennero altri film. E quello che considero una svolta: Nirvana. Un film di fantascienza! in Italia! Con Christopher Lambert! (Un altro che oggi mi sembra ridicolo in ogni sua apparizione, ma allora in Subway, Highlander e I Love You, ci sembrava a tutti più che divo e più che figo). C'erano ancora - è vero - i ragazzi della gang - da Abantuono a Catania, da Gigio Alberti e Bisio e Paolo Rossi - ma si guardava fuori dai confini, fuori dalla narrazione di sé. E nonostante cominciassi a crescere anche io nei miei gusti, ricordo benissimo che pensai: be' però, almeno è coraggioso, almeno Salvatores è uno che ci prova a uscire dagli stilemi e a lanciarsi nel genere, che smette di fare film con i borghi della Toscana o del sud e i panni stesi. Che prova a raccontare la modernità da un punto di vista italiano, nuovo, suo, originale. Sì certo, qualche idea era presa qua o là, me ne accorgevo. Ma almeno...

Leggo oggi la recensione sul nuovo film di Salvatores scritta da Giulio Sangiorgio, che ha più o meno la mia età quando uscirono quei primi film che resero Salvatores famoso e rivedo perfettamente sintetizzati tutti i miei pensieri da Nirvana in poi. Dice Giulio:

"Cos’è, oggi, il cinema di Salvatores? Un cinema manierista. Globale e locale. Che cerca di appropriarsi di generi, format, strategie di marketing e poetiche d’origine internazionale, facendone una questione italiana. Lasciando sottotraccia il ritratto generazionale dei primi film (le tragicommedie nostalgiche, sessantottarde, civili), Salvatores lavora, oggi, al tempo della dittatura del target adolescenziale, sul romanzo di formazione. E non smette di cercare nuove vie per il nostro cinema popolare: lo spaghetti-cyberpunk (Nirvana), il noir (Quo vadis, baby?), il western pulp (Amnesia), il remix di Wes Anderson (Happy Family, un film-cover), la versione nostrana di Life in a Day (Italy in a Day). E via elencando. (...).


È così: per me, proprio così. Solo che quel "provarci" dell'inizio, che mi sembrava coraggioso, encomiabile, oggi mi sembra quasi furberia, metodo commerciale, scopiazzare. Mi sembra che Salvatores abbia perso da tempo la bussola e paradossalmente l'ultimo film che mi è piaciuto suo era girato nel sud, con tutti gli stilemi dell'Italia novecentesca e paesana: parlo di Io non ho paura, di più di dieci anni fa.

E allora, quando Giulio conclude la sua recensione dicendo "Bello? No, ma il cinema italiano, per provare a essere vivo, deve passare anche da qui", io non ne sono più  sicuro. Forse proprio no

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