C’è sempre un tocco di blu nei film di Michael Mann. Una pennellata una luce un mare una finestra... Il blu in cui sono immersi personaggi virati al colore dell’acqua ne acquistano la stessa consistenza, le stesse leggi fisiche espandendosi in milioni di atomi sgranati fino ad occupare tutto lo spazio che il contenitore può offrire. Lo schermo, in questo caso che si fa corpo stesso e le immagini anima e il colore, destino. Non è un colore freddo però, come non sono mai freddi i personaggi, i corpi E’ un blu caldo, un blues, una prospettiva dolente di una nota che si saprà falsa, un giro di Do impiastricciato di fumo, il pizzicare sommesso una corda di basso. E’ blu- ritmo, la sospensione e il silenzio che fa da cassa armonica al battito del cuore, cardio blu estremamente empatico, abbassa i toni di una semicroma e accorda personaggi, trama e spettatore in unico tono, sprofonda la coscienza dentro la coscienza stessa, la memoria prenatale del liquido amniotico in una dimensione parallela, liquida e atavicamente conosciuta, rassicurante. E’ la spaccatura nella crosta del film, il guado verso l’intima profondità dell’essere umano che affonda verticalmente contemplando stupito tutti i gradi di blu disponibili nell’errare conscio delle profondità dell’anima che cambia, che si scopre, si svela in una leggera risacca notturna e divora silenziosamente la riva, la terra, granello dopo granello la rode e la denuda. Vita, si torna sempre differenti dal blu di Mann, da quello stretto buco sul mondo, la vita che rinasce dopo la salvificazione, la purificazione, la sospensione. Poi tutto ricomincia, fragorosamente esplode e riprende il suo colore, il vigore naturale della materia conosciuta si dimentica dello spazio metafisico del sapore dolce del sogno che ha interrotto il buio, instillando la certezza che tra la vita e la morte esiste un punto blu in cui nessuno può farci del male.
Con William Petersen, Tom Noonan, Brian Cox, Kim Greist, Dennis Farina, Joan Allen
William Petersen e Kim Greist sono a letto. Sono una famiglia. "Dente di fata" le famiglie le stermina, vorrebbe essere con loro ma non può. A letto W. Petersen placa i suoi incubi, una tregua, prima di sprofondarci dentro. La luce è blu.
Con Al Pacino, Russell Crowe, Christopher Plummer, Diane Venora, Philip Baker Hall
Al Pacino sul bagnasciuga. Nel crepuscolo sembra che tutto crolli che nulla abbia più senso. Il mare gli viene in aiuto e lo sommerge, lo fonde con il cielo della sera blu cobalto, lo coccola e lo protegge. Liquido amniotico per una nuova nascita.
L’esplosione di violenza, il doveroso incontro tra le due famiglie allargate che si confrontano. E’ la sospensione della tensione scaricata tra i fischi dei proiettili. La salvezza passa per lo stretto buco di una via del centro. Fotografia virata in blu.
Il mare che colma le distanze, Gong Li e Colin Farrell ci disegnano una scia, una strada conosciuta per l’inevitabile ritorno. Nel blu del mare, solo sguardi non c’è bisogno d’altro, non c’è via di scampo all’amore come al tradimento.
C’è un unico punto blu, nascosto come un sogno impudico, schiacciato dentro l’aletta parasole di un taxi. E’ un’isola nel blu del mare, un punto a cui rapportarsi quando il digitale sgranato della città comincia a diventare soffocante.
Figure nere, ritagliate nel blu di una cascata, Madeleine Sowe e Daniel D. Lewis sembrano ombre, solo ombre in sospensione tra passato e futuro. Un attimo nella vita scandito dallo sciabordio dell’acqua che rilava le carni, purificandole.
Will Smith è nero. E' mussulmano. E' campione del mondo dei pesi massimi. E' renitente alla leva. Will Smith è spiato da dietro una finestra, blu. Schermo e sospensione del giudizio di una nazione che si rifiuta di cambiare.
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