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Un mercoledì da leoni

Regia di John Milius vedi scheda film

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La recensione su Un mercoledì da leoni

di Kurtisonic
6 stelle

Se in qualche modo si può accostare a Un mercoledì da leoni la definizione di road movie, è per l’univocità della rappresentazione, dei contenuti materiali, dei suoi codici linguistici, che tramite il metaforico galleggiamento sulle onde agognate con la tavola del surf, si sostituisce alla strada da bruciare con motori tirati al massimo. Il surf e i suoi rituali sono il nucleo su cui ruota l’universo non troppo ampio dei tre giovani protagonisti, Matt, Jack e Leroy. Naturalmente la loro passione cela la paura di crescere, il sogno dolce di un’eterna gioventù  da sfamare con sfide al limite, con il tentativo di fondersi con le forze naturali senza però comprenderle, con il desiderio infantile di immortalare sé stessi in un gesto che ne inchiodi la temporalità. Il confronto fra ambiente scenico esterno con le riprese acquatiche  e quello interno, diciamo sociale, è impietoso, in quest’ultimo si riflettono assenze e defezioni morali di un mondo adulto che già in Gioventù bruciata, per fare un esempio, denunciava la sua incapacità a rapportarsi con le nuove generazioni, materialmente più attrezzate rispetto ai tempi precedenti, che dimostravano la bontà delle scelte e dei risultati che la società ha perseguito. Il regista John Milius se da un lato tende alla rappresentazione epica del dualismo fra uomo e natura, semplificando con successo e indiscutibile maestria visiva le relazioni personali e le interconnessioni fra i personaggi (che potrebbero definirli meglio)  in quello specifico ambito, opta come detto sulle scelte tipiche dell’essenzialità linguistica e comportamentale  del road movie più classico. Invece sul contesto esterno al surf, quello lontano dalle onde, il regista non si avvale della stessa efficacia.   Il mondo adulto risulta attonito e dissolto nei suoi disvalori, viene fagocitato da dialoghi quasi ridicoli, densi di una retorica spicciola, appare impregnato di una benevolenza e di una passività degna di Happy days. Esempi illuminanti sono la madre di Jack e la sua compostezza di fronte ai giovani che distruggono la casa in preda all’alcool, o mentre si prodigano in scherzi deprimenti ripresi  come fulminanti citazioni in opere come Porky’s anni dopo, oppure Bear il preparatore delle tavole, un fallito buono a niente, fotocopia invecchiata dei tre ragazzi, divulgatore di sani e tradizionali principi che ricordano la figura dell’allenatore sportivo che “sa” tirare fuori tutto il meglio dai giovani.  Tutto secondo la visione di Milius riporta ad una scala di valori acritici, in cui si consente la “trasgressione” anzi diciamo l’innocua ragazzata perchè testimone nostalgico di quel passaggio esistenziale dove però non bisogna mettere niente in discussione, dove l’afflato tragico o  una riflessione un po’ attenta non vengono mai considerate, dove insomma il mondo non deve sostanzialmente cambiare. Questo, a mio vedere, è il punto fondamentale, Un mercoledì da leoni è considerato un elegiaco manifesto sull’amicizia, ma come può essa maturare attraverso il tempo se non si mostrano dei passaggi che diano la possibilità di interiorizzare le loro esperienze e dunque di farli crescere come individui? I giovani rimangono in una dimensione adolescenziale, senza un proprio sviluppo come la circolarità del film che a dispetto del movimento delle onde risulta statico nella sua forma narrativa. Matt, che da ubriaco fa ribaltare un’auto in corsa, mette incinta la sua (?) ragazza, le scenette mortificanti e ridicole degli espedienti per non andare in Vietnam, tutto avviene con una leggerezza eccessiva che non determina mai una conseguenza vera. Il gran finale ci riporta in superficie.. sulla cresta dell’onda tanto attesa, cosa ne può risultare se non un innocuo passaggio di testimone (cioè di valori consolidati dal nulla) a qualcun altro altrettanto vuoto? Il film alla sua uscita fu abbastanza snobbato, dopo dieci anni di New Hollywood si poteva ambire ad una profondità diversa, ma viene riesumato e celebrato più avanti nel tempo, proprio quando in un clima di restaurazione mondiale si afferma quell’edonismo reganiano dell’uomo forte, sempre in forma (per produrre), libero da vincoli sociali e dalla cultura, omologato e schiavizzato dai suoi stessi miti . Ne abbiamo ancora bisogno? 

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