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Apaches

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La recensione su Apaches

di scapigliato
9 stelle

Tratta dall’omonimo romanzo di Miguel Sáez Carral, Apaches è una serie diretta in buona parte da Daniel Calparsoro, specialista in polizieschi, noir e action movie, e da Miguel Ángel Vivas, regista per lo più di film horror e thriller, ma perfettamente integrato all’interno dello sguardo malinconico e fatalista della serie.

In parte autobiografica, Apaches racconta di due amici fraterni del quartiere madrileno di Tetuán, un quartiere a base operaria in cui molti vivano di espedienti illegali e dove vige una legge di onore e rispetto molto sentita e condivisa. Famiglia, amici, amori, lavoro, sono alcuni dei perni su cui gira la vita del quartiere e la vita di ogni suo abitante, compresi i due protagonisti, Miguel y Sastre, magnificamente interpretati dall’argentino Alberto Ammann e da Eloy Azorín, ex chico Almodóvar che dopo Gran Hotel (2011-2013) torna a vestire i panni di un personaggio incredibile, solido sia sulla carta che nella resa finale. Finora il miglior ruolo della sua carriera. Allo stesso modo, Ammann, dà una serie di sfumature noiristiche al suo personaggio in bilico tra bravo ragazzo e spietato criminale. Un’interpretazione potente che insieme a quella di Azorín valgono la visione della serie.

Serie impreziosita anche dalla presenza di un cattivo di razza, interpretato da Paco Tous, e da una femme fatale azzeccata e conturbante proprio come i modelli di genere, ovvero la madrilena Verónica Echegui, una bellezza esteticamente vicina a quella di Penélope Cruz con l’aggravante dell’aggressività felina di Amaia Salamanca. Se non bastasse, intervengono splendidi caratteristi come Manolo Solo, Lluís Soler, Antonio Dechent, Carlos Olalla e Tamar Novas, stranamente non accreditato.

La serie è in realtà un lungo film di dodici episodi. Assente lo sguardo televisivo, forse alla base del forte ritardo con cui arriva sugli schermi spagnoli e attraverso Netflix, predomina invece quello cinematografico che non permette di cedere alla noia, fisiologica in una serie televisiva soprattutto nei passaggi di raccordo o nelle sintesi spiegazioniste. Il noir è alla base dello sguardo principale della serie, utilizzando moltissimi primi piani – già questo un elemento grammaticale non televisivo – molte sequenze silenziose e creando un’atmosfera di rara voluttà e titanismo, fatalità e dramma che innerva l’ossatura action. Dopotutto si parla di rapine, fughe, sparatorie, inseguimenti, delitti e rese dei conti. Forse, se proprio va trovato un difetto alla serie, è che l’attrazione fisica tra Miguel e Carol, il triangolo pericoloso con il suo amante, il cattivo “chatarrero” di Paco Tous, poteva essere sviluppato con più coraggio, anche scavalcando l’originale letterario o ricalcandolo pedissequamente nel caso – non ho letto il romanzo di Sáez Carral e non posso sapere altro. Ad ogni modo, le scene di sesso sono molto castrate e non rendono giustizia della voluttà che trasuda la serie. Anche la bellissima amicizia tra Miguel e Sastre, due veri “amici amanti” di tradizione letteraria, poteva essere più ambigua, ma la serie riesce ugualmente a tracciare il perfetto disegno di un amore amicale senza condizioni. Un piccolo capolavoro.

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