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Il falò delle vanità

Regia di Brian De Palma vedi scheda film

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Dany9007

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il falò delle vanità

di Dany9007
7 stelle

Dopo essermi imbatttuto nel film di De Palma, ho avuto la netta sensazione che il materiale sottostante alla pellicola fosse molto più ricco. Per questo ho deciso di leggere il romanzo di Wolfe, da cui è tratto: resta confermata la mia prima impressione, il romanzo, di oltre 700 pagine, arricchisce la vicenda con tanti personaggi, vicende e sottotrame che risulta obiettivamente difficile condensare in un film (ma il cinema non si è mai arreso di fronte ad alcuna opera, nemmeno le più monumentali). In merito a Il falò delle vanità il regista credo che riesca solo in parte a ricreare l'atmosfera del libro. Innanzitutto il personaggio di Sherman McCoy risulta forse un po' troppo sopra le righe nella caratterizzazione definita da Tom Hanks, manca un po' di cinismo con cui si muove inizialmente il personaggio, manca un maggior risalto al suo ruolo di "padrone dell'universo" (così come viene definito più volte nel libro) e manca in particolar modo la dicotomia tra la sua figura di yuppie votato al mercato obbligazionario di Wall Street ed il ruolo del padre, a capo di un importante studio legale. Proprio lo yuppismo del momento viene messo alla berlina dall'autore del romanzo (cosa che in parte sfugge a De Palma): a differenza del padre, che ha passato la vita andando al lavoro in metropolitana, la generazione e l'ambiente in cui vive Sherman, fa dell'apparenza e dello sperpero il proprio marchio di fabbrica: ben presto infatti il lettore viene a sapere che nonostante l'incarico prestigioso ed uno stipendio da 1 milione di dollari l'anno, lo stile di vita di Sherman e di sua moglie va a sterilizzare ogni possibilità di risparmio e, anzi, un minimo disguido potrebbe lasciarlo privo di sostanze per finanziarsi. Disguido che infatti avviene: sempre nel libro il declino economico del protagonista risulta essere una delle maggiori minacce ad incombere. Un altro personaggio poco sviluppato nella pellicola è quello del sostituto procurato Kramer, interpretato da Saul Rubinek, che nel film risulta una decina di anni più anziano rispetto al personaggio ritratto nel libro, e del quale non si comprende bene la metamorfosi, da incerto procuratore dell'inizio a fedele leccapiedi del Procuratore Weiss (il sempre ottimo F. Murray Abraham che per una disputa contrattuale non volle venire accreditato nei titoli) mentre il libro lascia ampio spazio alle frustrazione di un giovane funzionario statale, ben consapevole che la sua carriera e soprattutto il proprio stipendio non sarebbero stati minimamente comparabili a quello dei "lupi di wall street", e che quindi deciderà di esercitare il proprio potere contro uno di questi privilegiati, ricorrendo senza tema a colpi bassi. Per contro è da riconoscere una spassosissima caratterizzazione da parte di Bruce Willis nel ruolo di Peter Fallow, giornalista alcolizzato che verrà alla ribalta proprio grazie allo scoop di cui sarà vittima McCoy, e che, specularmente, progredisce sempre più nel corso della vicenda, così come McCoy continua a rovinare nella polvere. O ancora meglio nel fango della stampa. Tuttavia anche in questo caso, De Palma sceglie delle soluzioni più semplici e più idonee ai gusti del grande pubblico: Fallow, resosi conto del male che sta facendo a McCoy decide di aiutarlo e anzi sarà lui a fornirgli la prova che andrà a scagionarlo; nel romanzo tutto questo non avviene, anzi Wolfe lascia che Fallow continui a muoversi contro McCoy, persino riuscendo a carpire frammenti di conversazione tra questi e la sua amante. Ma soprattutto De Palma lascia spazio ad un finale dove in sostanza i cattivi vengono puniti, con l'arringa del giudice White (Morgan Freeman) che tuona contro tutti coloro che si sono approfittati di una vicenda dolorosa e soprattutto verso un utilizzo politico della giustizia, con un'invettiva che vede tra i maggiori bersagli Kramer, Weiss ed il melllifluo Reverendo Bacon (anch'egli ottimamente caratterizzato da John Hankcok) ma che si scosta completamente dal contenuto del libro, che invece vede McCoy ormai prigioniero di una gabbia di rivendicazioni che lo hanno portato in rovina, nonostante la palese estraneità ai fatti di cui era imputato. 

In sostanza, senza voler rendere questa recensione un puro raffronto tra film e libro, De Palma sembra aver voluto affrontare anche con toni personali (le lunghe carrellate) e a tratti brillanti (certi dialoghi) un'opera che però poteva essere meglio sfruttata e resa un gioiello. 

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