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The Conjuring: Il caso Enfield

Regia di James Wan vedi scheda film

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La recensione su The Conjuring: Il caso Enfield

di amandagriss
8 stelle

 

James Wan ci tiene in pugno.

 

E con The Conjuring - Il caso Enfield, ce ne fornisce un’ampia, esaustiva dimostrazione.

Ancora un altro film sulle case maledette, ancora una presenza demoniaca a tormentare il sonno dei malcapitati inquilini di turno. E James Wan coglie nuovamente l’occasione per rifilarci il collaudatissimo carnet di spaventi a comando che le classiche dinamiche da attività paranormale entro le 4 mura richiedono.

Senza indugio, viene gioiosamente incontro alle richieste del pubblico, servendogli, come su di un piatto d’argento, le pietanze che più gradisce, sempre le stesse, e proprio perché sempre quelle, evitare di inserirle nel menu sarebbe praticamente impossibile. E, certamente, non risulterebbe una mossa tra le più astute.

Ci rende felici, insomma, e confeziona, pertanto, un horror soprannaturale che più tradizionale non si può, con quel gusto accattivante e spiccatamente retrò che fa sempre presa, che rimanda ai numerosi cult del passato a cui idealmente (dichiaratamente) si riallaccia, rispolverandone gli ingranaggi alla base delle paure scatenate e collocandoli sotto una lente d’ingrandimento al fine di studiarne gli ingegnosi dettagli, rielaborarli, riprodurli. Immetterli nel suo cinema di oggi. 

Tensione meticolosamente intessuta e spavento assicurato, in stretto, simbiotico rapporto di causa-effetto, scrivono ogni pagina del film che, a ben guardare, arriva, anche in questo secondo episodio, a sfiorare il capolavoro.

Il merito risiede principalmente nella sorprendente padronanza di Wan della materia filmica che ha scelto di trattare.

La grande perizia tecnica e l’uso funambolico della mdp, sottoposta a movimenti fluidissimi e serrati all’interno di spazi ristretti e limitati, gli permette di ricreare dai classici scenari di/da paura situazioni nuove ed originali per il modo in cui esse vengono condotte: la visione d’insieme di un ambiente -da tutte le angolazioni-, fondamentale per costruire la giusta atmosfera pregna di spettrale inquietudine e per comprendere il diramarsi progressivo degli eventi, comporta l’adozione di un punto di vista dinamico, affinché la certezza dello spavento goda della garanzia di sopraggiungere da una direzione impossibile da prevedere.

Tallonando pesantemente i personaggi e lanciando rapide panoramiche al contesto circostante, Wan si assicura che l’ambiente tutto venga percepito come potenzialmente ostile.

La reazione è presto ottenuta: disorientamento e perdita di controllo della situazione laddove, dopo una vita vissuta a pane e filmacci di paura, ci illudevamo di riuscire a gestire alla perfezione. Ma la sensazione che lascia addosso è briosa e il gusto che si assapora deliziosamente piacevole.

Tuttavia, non sempre, come volevasi dimostrare, lo spavento si palesa, sebbene le condizioni create ad arte facciano dedurre l’esatto contrario.

Appare chiaro, quindi, che quel genietto defilato di James Wan si diverta un mondo con le nostre (telefonate) aspettative, montando, smontando e rimontando gli stranoti meccanismi che innescano e governano la paura.

Verrebbe, perciò, da pensare che dietro l’ennesima storia vera di possessione di cose, case e persone alberghi un ragionamento finemente compiuto, consistente nell’intenzione di testare su un terreno ampiamente battuto (la casa infestata) il grado di efficacia di oramai indiscusse, certificate formule atte a ricreare all’infinito lo spavento.

Il film è, perciò, un tripudio di dimostrazioni andate a segno sulla validità della paura come da sempre ce la trasmette il cinema che di essa si occupa, arrivando a concludere che le fondamenta su cui orgogliosamente poggia sono ancora molto solide, nonostante gli alti e bassi che il genere puntualmente attraversa.

Wan si dimostra alquanto abile nel gestire le sottigliezze del perturbante, ma supera se stesso quando sposta la sua attenzione dalla paura evocata a quella direttamente mostrata.

E il concept Saw da lui ideato -etico splat pack estremo in modalità exploitation, caposaldo dell’horror 2.0- ne è una prova lampante.

Il regista, anche sceneggiatore e produttore, crede che per incutere paura sia necessario che gli accadimenti, malvagi e assassini, debbano inondare la vista dello spettatore, coinvolgerla in prima linea, così da poterla guardare dritta negli occhi (come fa dire al protagonista maschile della storia).

Nel caso delle creature soprannaturali che popolano il mondo di The Conjuring, è necessario che queste penetrino la sfera sensibile, acquistino peso, incamerino materia, si facciano, cioè, di carne e di ossa e arrivino a palesarsi ai nostri occhi in tutta la loro grottesca ferocia evidenza, fino a riempire intere sequenze dove la paura è diretta conseguenza della loro sconvolgente visione, dove la netta, distinta e prolungata percezione di esse nella nostra realtà, fatta sostanzialmente di corpi, ne sancisce definitivamente l’esistenza, provocando -letteralmente- la pelle d’oca.

 

Giocare con la paura, manipolarla a piacimento, asservire lo spettatore ai suoi capricci d’artista è una pratica che a James Wan riesce bene come a pochi nel settore.

Non possiamo fare altro che tifare per lui, per i suoi progetti futuri che, ci auguriamo, continueranno a fare la gioia degli amanti, fedelissimi, dell’horror in celluloide.

 

 

 

 

 

  

 

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