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Caffè

Regia di Cristiano Bortone vedi scheda film

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La recensione su Caffè

di gaiart
6 stelle

Il film con una fotografia evocativa, fa riflettere su come il denaro, il bisogno economico modifichi le nostre esistenze, la nostra moralità, i nostri valori per la sopravvivenza.

L’architettura circolare del film, costruito su storie orizzontali, tutte intessute e accomunate dall’idea di caffè, guadagno e lavoro, rende questa pellicola interessante e globale anche per la presenza di etnie e location diverse. Una co-produzione Italiana, Cinese, Belga rende internazionale e vario sia il cast che il racconto sviluppato in questi tre paesi che raccoglie le identità di 4 coppie.

 

 

Uno spaccato economico e sociale disastroso si profila man mano e durante la pellicola che, amara, come la vita e come il caffè, si apre proprio partendo dalla lettura dei suoi fondi, tradizione e usanza di una famiglia araba, scappata dalla Siria; li si apprende che con il caffè: “E’ dio che ci ricorda che è duro vivere secondo le sue leggi”, si dice – fino a sviluppare poi grandi scontri sociali in Belgio, in una tensione continua dovuta all’immigrazione e alla recessione.

 

Poi la malattia di un’artista che dipinge col caffè - una leucemia fulminante causata dalla fabbrica vicina che scarica illecitamente nei fiumi, nella regione dello Yunnan in Cina, inquinando acqua, aria e facendo morire la gente. Tutto è accomunato dall’amore per il profitto o dalla disperazione di chi non sa più come procurarsi da vivere.

 

Una curiosità; pare che a suggerire il MacGuffin, filo conduttore della pellicola, sia stato il proprietario del bar Sant’Eustachio, la più celebre caffetteria romana, dove si produce e si vende a caro prezzo una miscela, a parere di molti, prodigiosa.

Arabi, belgi, cinesi, italiani tutti accomunati da uno stesso destino; l’amore per il profitto o l’amore per l’onestà, due cose in antitesi. Infatti nel film si dice che: “i ricchi si sono arricchiti togliendo a qualcun altro la propria parte”.

E la tesi è presente in tutto il film dove, magnati senza scrupoli con lo sfruttamento di una fabbrica cinese che non ha i requisiti legali e di sicurezza, mettono a rischio la natura e la popolazione confinante che muore di leucemia.

Oppure nel furto di una piccola caffettiera d’argento dal negozio di pegni gestito da Ahmed, un arabo, scappato dalla guerra e rifugiato in Belgio che sa essere generoso con i clienti più bisognosi e che per amor della giustizia e delle tradizioni rischia di morire. Oppure nella coppia di giovani italiani che si trasferiscono per lavorare nel mondo del caffè a Trieste e perdono di vista i valori con cui sono cresciuti.

Un mondo che si profila tra un caffè e l’altro, a volte dolce, ma quasi sempre amaro, soprattutto per i giovani che vedono frustrazione, disoccupazione, violenza, razzismo, fallimento, ingiustizia e invidia sociale.

Il film con una fotografia evocativa, fa riflettere su come il denaro, il bisogno economico modifichi le nostre esistenze, la nostra moralità, i nostri valori per la sopravvivenza.

 

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