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The Reaper

Regia di Zvonimir Juric vedi scheda film

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La recensione su The Reaper

di OGM
7 stelle

Voler andare fuori, e intanto rimanere dentro. Il ritorno della pace invita ad una corsa impossibile. La ritrovata libertà è un vuoto che respinge. Che trattiene tutti all'interno di una casa diroccata, piena di familiari rottami. In cui ci si illude di poter essere vivi. Di poter essere nuovi e migliori.

Raccogliere cosa. Il passato è erba da falciare. Non fa che ricrescere, e bisogna insistere, perché quell’eredità è gramigna, che non se ne vuole andare. È così per Ivo, ma anche per tutta la sua patria, che ancora vive nel ricordo onnipresente di un conflitto fratricida che ha distrutto tutto, e che ancora impedisce di ricostruire un’esistenza dignitosa, di tornare alla normalità. Ivo è stato un criminale, ha violentato una donna, venti anni fa, e per questo è finito in carcere. Dopo ha ripreso a fare il suo mestiere, il contadino. Ma riesce a lavorare solo di notte, quando non c’è il sole e l’aria è più asciutta.  La sua vita è congelata in una sorta di oscura attesa, come quel vecchio ufficio attiguo al suo alloggio improvvisato, in cui sono rimaste, da prima della guerra, le tazze in cui qualcuno ha bevuto un ultimo caffè. Sul bordo, ci sono ancora le macchie di rossetto. Certe tracce non muoiono. Restano lì, a ribadire all’infinito che il tempo si è fermato, che la sua inerzia non perdona, che quel terribile spavento l’ha bloccato in maniera irrimediabile. Venisse almeno l’oblio, a stendere il suo velo pietoso. Invece il deserto è pieno di voci, vi rimbombano gli echi della memoria: emergono da una chiazza d’usura che spunta da sotto un tappeto, ma anche da una chiacchiera che ti insegue dappertutto. E si rapprendono, falsamente allegri, in una malinconica leggerezza che sembra ancora quella che si usava, allora, sotto le bombe, per allontanare i pensieri più tristi, per tenere a bada la disperazione. Un angolo della Croazia ci rivela i suo tiepidi bagliori, quelli sprazzi di luce che vorrebbero strappare un sorriso alla desolazione. Si balla e si canta, si beve in compagnia, per celebrare la prossima nascita di un bambino.

 

scena

The Reaper (2014): scena

 

 

Ma anche quella è un’occasione per arrabbiarsi e fare a botte. Per essere preoccupati e non capire. Anche fare il poliziotto è una mansione dubbia, che mescola dolore e senso di impotenza, cameratismo ed emarginazione. In questa storia senza radici,  la trama è vagabonda. Va a caccia di un riferimento qualsiasi, ma  subito rimane impigliata nell’indolenza. Accade anche a Mirjana che, pur avendo paura di Ivo, non riesce a scappare, a rifiutare i suoi inviti, a dire di no quando lui la prega di seguirlo nel suo appartamento. Ed accade allo stesso Ivo, che, benché libero, è sempre in catene, prigioniero della vergogna, inibito da un’antica colpa, nero e selvatico, eppure tranquillo e docile, come il cane che ogni sera lo aspetta davanti alla porta. I personaggi sono smarriti, ma non possono condividere nulla, nemmeno il loro disorientamento, che li porta ad essere soli, ognuno ingabbiato nel proprio problematico rapporto con la realtà. Individui sparsi, che si chiamano fuori dalle situazioni. Che abbandonano la festa. Che si affidano a uno sconosciuto. Che si dimenticano di essere padri. Che non vorrebbero più essere madri. Perché quello che è stato non consente di fare pace col presente. L’oggi sembra sbagliato, assediato da uno ieri che non si rassegna a cedergli il posto, che continua ad imporre la sua crudele insensatezza. Il racconto sbanda, cercando la sua strada. Come la vita che prosegue, dopo la morte, ma non si sa perché. Come un animale  che d’un tratto trova un nuovo padrone, ma solo per caso, non per amore, forse un po’ per pietà. 

 

Mirjana Karanovic

The Reaper (2014): Mirjana Karanovic

 

 

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