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Somnia

Regia di Mike Flanagan vedi scheda film

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La recensione su Somnia

di M Valdemar
7 stelle

 

locandina

Somnia (2016): locandina




La rielaborazione dell'inelaborato, per mezzo di un maledetto dono che abita la suggestionabile, acerba mente di un fanciullino, folgora. Più dei canoni, codici, meccanismi, topoi - ma anche limiti e confini (narrativi innanzitutto, poi di coesione della tenuta) - insiti nel genere. Che Mike Flanagan usa, adatta, (s)piega per materializzare angosciosi, concreti fantasmi attinenti al lutto, all'autocolpevolizzazione, alla - mancata, implosa, elus(iv)a - accettazione, alla bastardissima malattia delle malattie, alla sostanza limacciosa di cui sono fatti sogni, desideri, speranze, verità-non verità, perversioni genitoriali, ambiguità infantili, incubi.
Parte e scorre come un discreto horror (e nulla più), Somnia, meno teorico e virtuoso registicamente del già apprezzato Oculus. Eppure quando la mdp piega le inquadrature fa il suo effetto, restando in zona spaventi-sobbalzi. Solo dopo si potrà interpretare la messe di eventi e dati - perlopiù rispondenti al già visto (la coppia che ha perso il figlio, il fattore esterno, il bambino inquietante, le manifestazioni terrorizzanti, il precipitare inesorabile delle cose ecc.) - come principio dei sintomi, involucro protettivo, concessione ai protocolli della riproduzione dello spettacolo.
Che i sogni - belli e paurosi - d'un bimbo interrotto possano farsi reali è idea gustosa quanto non nuova; che esseri normalmente associabili a qualcosa di sereno come le farfalle vengano trasformati, progressivamente, in nera composizione malvagia (l'"uomo cancro" è una trovata riuscita), predispone bene; che ci si trovi lentamente invischiati nel famelico corpo del film significa che la struttura nel suo complesso regge e funziona. Buoni gli effetti speciali, intrigante l'evoluzione degli affetti (con punte di sincera cattiveria: la mamma adottiva animata da pura ingordigia abusa del "talento" del neovenuto), soddisfacente sebbene convenzionale la creazione di suspence e oggettistica orrorifica; non un granché, invero, le performance della coppia interpretata dalla statica, levigata Kate Bosworth e dallo spaesato Thomas Jane, ma c'è Jacob Trambley (sì, il capelli-lunghi di Room) a (ben) inscenare mutazioni e stati d'animo.
Mutazione che avviene anche nello spettatore, giacché tutta la splendida parte finale mostra la reale natura dell'opera. Attraverso l'uso di elementi classici: l'indagine per trovare una spiegazione e risalire alle cause, lo scatenamento delle forze oscure (sorta di materializzazione del delirio e delle peggiori fantasie: ottimo l'impatto visivo), i flashback esplicativi, il superamento delle proprie paure e barriere, la risoluzione.
Una rappresentazione esemplare, coinvolgente (e sottolineata da note suggestive con il piano protagonista), carica di una umanità sorprendente: non solo si disvelano e si comprendono cose-fatti-verità-psicologie-natura dei sogni (e per una volta lo "spiegone" è necessario oltre che concepito benissimo) ma soprattutto si mette in scena uno studio autentico sulle conseguenze del cancro. Disturbante quanto può esserlo la realtà, angosciante come perdere l'unica fonte di affetto nonché legame con il resto del mondo, terrificante e struggente come la trasformazione fisica e mentale.
Una lettura e messinscena che passa dall'alterazione di ricordi e desideri, dalla pericolosa influenza del male e della malattia, dalla discesa nel maelstrom di sentimenti perturbanti, dalla contaminazione del motore onirico, dall'armamentario - anche metaforico, mediato, strumentale - del genere: Flanagan dà vita e corpo a un'opera senziente, che va guardata oltre la sua patina horror.
Ma trattasi di processo naturale, di elaborazione spontanea: Somnia indaga e riflette su una materia così abusata e rischiosa più e meglio di molti (estenuanti, leziosi, pretestuosi) cancer movies. Sveglia.

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