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La grande partita

Regia di Edward Zwick vedi scheda film

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La recensione su La grande partita

di marcopolo30
7 stelle

Significativo biopic sul tormentato campione di scacchi Bobby Fisher. Zwick è bravo a seguirne la parallela ascesa come giocatore e discesa agli inferi come essere umano, ma fa secondo me qualche sconto di troppo alle colpe che le autorità USA hanno nei suoi confronti. Banalissima al solito la traduzione del titolo all'italiano.

Bobby Fisher è stato, prim'ancora che gran maestro e campione del mondo di scacchi, uno dei personaggi più controversi e affascinanti dell'ultimo trentennio del secolo scorso. Asceso in verdissima età ai massimi livelli mondiali negli scacchi, fù l'unico occidentale capace di spezzare (Reykjavik, 1972) l'indiscussa, lunghissima supremazia sovietica in tale sport. E va da se che in piena Guerra Fredda questo equivaleva a un Rocky Balboa che spiezza in due Ivan Drago nel cuore stesso della Russia. Con la differenza non da poco che Fisher è esisitito davvero. A partire da quel momento però le cose presero una piega del tutto diversa, e in un batter di ciglia Bobby Fisher passò prima dallo status di eroe nazionale a quello di folle vagabondo, quindi ancor più giù, verso quello di 'traditore' (per aver violato l'embargo USA alla Jugoslavia nel 1992) che lo portò, dopo anni passati a fare propaganda anti-imperialista in Asia, all'arresto, al carcere ed infine alla revoca di passaporto e cittadinanza USA a causa di «attività antiamericane». Insomma, non certo un bel modo di ringraziare un soldato, o un pawn come recita il titolo originale del film, che un paio di decenni prima aveva letteralmente tolto le castagne dal fuoco a un Paese che in Vietnam stava soffrendo umiliazioni a catena. E se tra gli scacchisti di tutto il mondo, me incluso, Bobby Fisher resta semplicemente il genio per eccellenza, un mito insomma, non sorprende, considerate tutte le premesse appena elencate, che nessuno dalle parti di Hollywood era riuscito a portarne la vita sul grande schermo. Non finché Fisher è stato in vita, quanto meno. Il biopic di Edward Zwick, autore che è sempre garanzia di un minimo sindacale di qualità, segue la rapida ascesa di Fisher e l'uso strumentale che ne fece il governo, disinteressandosi per completo della sua salute mentale. Il film termina al punto zenit della parabola di Fisher, riassumendo poi in un paio di didascalie finali i quarant'anni successivi. Scelta saggia da un punto di vista cinematografico in quanto non 'annacqua' il prodotto, molto meno da quello della verità, soprattutto considerando che 'dimentica' di citare in tali didascalie diversi fatti non certo edificanti (per le autorità USA), e spostando invece l'attenzione sulla presunta follia del protagonista. E se il film non entrerà nell'olimpo della settima arte, ma neanche diciamo pure nel top del CV del regista, segna senz'altro un salto di qualità per il protagonista Tobey Maguire che dopo la trilogia di Spider-Man rischiava di passare alla storia come un attore mono-ruolo e che invece dimostra qui qualità a secchiate. Al botteghino il film è andato davvero male, incassando 6 milioni contro i 19 spesi per realizzarlo. Chiudo con una triste (ancora una volta) nota sulla distribuzione italiana la quale non solò non ha distribuito il film nelle sale nel 2015, ma ha avuto poi anche l'ardire, al momento di distribuirlo in versione DVD/BluRay, di cambiare il significativo titolo Pawn Sacrifice (Sacrificio del pedone) nel banalissimo La grande partita.

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